A distanza di appena due settimane il presidente del Consiglio torna in Sicilia, per un tour di due giorni, oggi nella parte orientale, domani in quella occidentale. Incontri istituzionali che si mischiano, e in alcuni casi si sovrappongono, ad appuntamenti puramente elettorali in vista del referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale. Difficilmente però il premier si confronterà con l’ampia rete di associazioni che si batte per il No e in particolare contro uno specifico aspetto del referendum.
Dall’associazione antimafia Rita Atria alle mamme No Muos di Niscemi, dal circolo Arci di Gela al gruppo Città Felice di Catania: sono solo alcune delle realtà siciliane che hanno appoggiato l‘appello dei territori per il No alla riforma costituzionale. Oltre 160 le adesioni in tutta Italia – tra comitati, associazioni e organizzazioni sociali – per pronunciarsi contro la riforma del Titolo V, che era stata sancita nel 2001 e che aveva fondamentalmente suddiviso le competenze tra Stato e Regioni, in virtù di un’ottica federalista.
Secondo l’appello che sta girando sul web «gli enti territoriali spesso si sono fatti carico delle istanze dei cittadini e hanno contributo a migliorare la realizzazione di taluni progetti o evitando, quando ciò fosse manifesto, che il territorio venisse devastato. Ora invece non avranno più voce in capitolo su materie o politiche cruciali per la sorte delle collettività locali, quali, ad esempio l’energia, le infrastrutture, il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali». Per Marica Di Pierri, attivista e giornalista che si occupa da anni di tematiche ambientali e sociali, «si tratta di un’esproprazione di democrazia verso il basso».
Cosa cambierebbe in sostanza per una Regione a statuto speciale come la Sicilia? «Poniamo il caso che lo Stato individui la necessità di voler trivellare al largo, che so, di Pantelleria – continua Di Pierri -. Né il Comune né la Regione potrebbero più mettere becco. Con la clausola di supremazia che la riforma vorrebbe introdurre, sarebbe il governo, e neanche il Parlamento, a decidere. E l’interesse nazionale di cui si parla è in ogni caso una categoria politica e non certo giuridica».
C’è da registrare che la Sicilia, in quanto Regione autonoma, non verrebbe coinvolta dalla riforma del Titolo V fino alla modifica dello Statuto, che viene indicata dalla stessa riforma, ma sarebbe comunque coinvolta dalla clausola di supremazia. È proprio su questo punto che il costituzionalista Enzo Di Salvatore avanza una proposta. «L’attuale sistema delle autonomie speciali che la riforma mantiene sostanzialmente inalterato – dice – poggia su ragioni storiche in gran parte superate. Sarebbe stato, invece, opportuno convertire questa specialità: da identità storica in specialità di tipo funzionale, collegata a problemi regionali comuni e concreti, affinché si potesse giungere a una diversificazione delle competenze dei territori».
I fautori del sì al referendum sostengono che finalmente si snellirebbero le procedure decisionali, attribuendo precise competenze per rendere più moderno, veloce ed efficiente l’intero Paese. Di ciò non dovrebbero beneficiarne anche le Regioni? «La riforma in verità – sostiene ancora Di Salvatore – fa piazza pulita di ogni idea federalista e colpisce al cuore la tradizione regionalista italiana, imprimendo al sistema delle relazioni tra lo Stato e gli enti territoriali una svolta centralista. Sarebbe questa la modernità?».
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