Una sentenza che farà giurisprudenza. La Cassazione, oggi, ha fatto scattare un daspo (divieto di accesso alle manifestazioni sportive, ndr) di due anni, con obbligo di firma al commissariato, rivolto a un tifoso della Reggina. Quest’ultimo era stato tra i protagonisti, il 28 ottobre 2017, di una coreografia che era composta da una raffigurazione del vulcano in fiamme (effetto creato con petardi e lacrimogeni) sulla città di Catania, arricchita da due striscioni che recitavano: «Nessun elefante vi protegge. Prima o poi la lava vi distrugge». Un messaggio non certo amichevole indirizzato ai supporter catanesi, all’inizio di una gara che, per la cronaca, è stata vinta dalla Reggina col punteggio di 2-1.
La corte ha stabilito che incitamenti del genere rappresentano una forma di «induzione alla violenza», anche se non contengono in sé un contenuto «insultante o diffamatorio». Il daspo con firma, dunque, riguarderà tutti quegli ultras che andranno ad allestire coreografie inneggianti a colate di lava che debbano colpire le città di Catania e Napoli e i loro tifosi. Quella della Cassazione, in particolare, è una scelta che crea continuità con la decisione assunta dal questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi il 4 novembre 2017: sulla scia della coreografia dello stadio Granillo, infatti, Grassi aveva emesso nove provvedimenti indirizzati a tifosi della Reggina. «Striscioni di discriminazione che non possono essere accettati. I provvedimenti – aveva dichiarato – hanno la finalità di allontanare i soggetti che si recano allo stadio per manifestare odio e violenza».
Si tratta, dunque, di una sentenza che costituisce un precedente molto importante, andando a determinare una ben specifica particolarità di discriminazione territoriale: quella relativa alle città che, potenzialmente, possono essere distrutte o danneggiate da un vulcano vicino. Il giudice di ultima istanza ha voluto così creare un legame tra la minaccia di distruzione attraverso la lava e successivi comportamenti di violenza. La volontà, chiaramente, è quella di colpire i singoli autori di questi gesti, mentre le norme già esistenti vanno a punire i club coinvolti, in base alla cosiddetta responsabilità oggettiva. In base all’articolo 11 del codice di Giustizia sportiva, il giudice applica una pena minima: la chiusura del settore in cui le condotte sono commesse. In caso di reiterazione, si potrebbe anche arrivare alla squalifica del campo e alla perdita della gara, con penalizzazioni in classifica.
Una eventualità così pesante non si è mai registrata in questo caso. Per cori discriminatori contro i tifosi del Napoli, lo scorso maggio è stata ad esempio sospesa per tre minuti la partita Sampdoria-Napoli. Per lo stesso motivo, la curva della Roma è stata chiusa per un turno: nel marzo del 2017, la Juventus è stata punita con una ammenda di 10mila euro a causa di coro espressivi di «denigrazione territoriale» espressi dai suoi tifosi. E’ notizia di tre giorni fa, invece, che la curva della Juve è stata chiusa per una giornata di campionato: ad essere sanzionati sono stati i cori di discriminazione territoriale rivolti ai tifosi del Napoli nella gara del 29 settembre scorso, uniti a ululati razzisti contro il giocatore partenopeo Koulibaly. Adesso, arriva la svolta della Cassazione a inasprire le pene per i singoli tifosi: la speranza è che possa realmente costituire un deterrente per scongiurare cori, striscioni e coreografie ben poco edificanti.
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