«Il referendum non riguardava solo perforazioni già esistenti. Ora si potrà trivellare addirittura entro le 12 miglia marine, come avevamo già detto durante la campagna referendaria. Anche in Sicilia». L’allarme viene da Enzo Di Salvatore, costituzionalista ed estensore dei quesiti referendari in parte accolti dalla legge di stabilità 2016. Al contrario di quel che ha sostenuto il governo Renzi, per convincere gli italiani ad astenersi sul referendum appena trascorso, il blocco delle perforazioni entro le 12 miglia marine non vale per i procedimenti già esistenti ma solo per le nuove autorizzazioni. È il caso ad esempio della piattaforma Prezioso K, al largo delle coste tra Gela e Licata. La cui costruzione è fissata, all’interno del progetto offshore ibleo, a undici chilometri dal litorale e accanto alla già esistente Prezioso. Dopo aver ottenuto, a maggio 2014, l’autorizzazione integrata ambientale, il 17 marzo scorso il progetto ha ottenuto anche la verifica di ottemperanza da parte della commissione tecnica.
Significa via libera per la concessione di coltivazione chiesta da Eni che prevede la perforazione e il completamento dei sei pozzi nei campi (già esistenti) Argo e Cassiopea e la perforazione di due nuovi pozzi esplorativi (Centauro1 e Gemini1). L’ultimo ostacolo al procedimento del cane a sei zampe è il ricorso al consiglio di giustizia amministrativa presentato dalle associazioni ambientaliste e dai Comuni interessati, tranne quello di Gela. I giudici del tribunale si pronunceranno a giugno, dopo il respingimento del Tar Lazio lo scorso anno.
Analoga sorte potrebbe esserci per la piattaforma Vega B, di fronte la città di Pozzallo, che a breve potrebbe vedere la luce dopo un iter contorto ed estenuante. L’esito fallimentare del referendum non scoraggia però i promotori, che aumentano anzi i fronti di battaglia. «Abbiamo preparato una diffida rivolta al Ministero dello Sviluppo Economico – spiega Di Salvatore -. Ci sono cinque concessioni estrattive entro le 12 miglia che sono scadute da anni: due in Abruzzo, poi a Ravenna e nel Veneto. La norma che intendevamo abrogare col referendum prevede che siano prorogati solo i titoli vigenti, non quelli scaduti. Ciò vuol che dire che le aziende petrolifere stanno continuando ad estrarre senza autorizzazione».
Non solo. La disposizione attuale violerebbe anche la normativa europea ed in particolare la direttiva 94/22/CE, recepita dallo Stato italiano nel novembre 1996. Nei giorni scorsi la parlamentare europea Barbara Spinelli ha inviato alla commissione europea un’interrogazione scritta che ha come oggetto proprio la norma del referendum. «Una durata a tempo indeterminato delle concessioni – riassume il costituzionalista – violerebbe le regole del diritto europeo sulla libera concorrenza».
Intanto c’è da fare ancora un’analisi del voto di ieri. Di Salvatore predica ottimismo. «Il referendum non è certo un punto di arrivo – dice -. C’è da registrare che abbiamo ottenuto una visibilità enorme su un tema, quello della strategia energetica, che fino a un mese fa era riservato agli addetti ai lavori». E per quanto riguarda il presunto spreco di 300 milioni di euro, come sostenuto dal premier Matteo Renzi, la risposta è pacata. «La democrazia ha dei costi. Il referendum è un esercizio di democrazia che non può essere valutato economicamente – annota il costituzionalista -. E in ogni caso lo spreco si sarebbe potuto evitare accorpando il voto alle amministrative».
*si ringrazia per la collaborazione Salvatore Altiero e il progetto Italian Offshore.
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