Fino a oggi la strategia di chi era contrario al referendum abrogativo sulle trivelle è stata non parlare. Ma già dal pomeriggio di oggi lo scenario è cambiato. Man mano che è stata evidente l’impossibilità di superare il quorum, il silenzio si è trasformato in soddisfazione. Ha iniziato, molto presto, Ernesto Carbone, deputato del Pd che ha lanciato l’hashtag #ciaone, twittando «Prima dicevano quorum. Poi il 40. Poi il 35. Adesso, per loro, l’importante è partecipare».
Il più atteso era il presidente del consiglio. E Matteo Renzi, dopo aver sottolineato che avrebbe rispettato il silenzio elettorale fino all’ultimo, subito dopo la chiusura delle urne ha parlato da Palazzo Chigi. «Il mio pensiero va ai lavoratori, nelle loro piattaforme, nelle loro aziende, 11mila persone che avrebbero rischiato il posto di lavoro e per i quali abbiamo lavorato e proposto l’astensione ai cittadini – ha dichiarato il premier -. Gli sconfitti non sono i cittadini che sono andati a votare, sconfitti sono quei pochi pochissimi consiglieri regionali e qualche presidente di regione che hanno voluto cavalcare referendum per esigenze personali e politiche».
Per il primo ministro, il referendum poteva essere evitato. «Abbiamo cercato di risparmiare 300 milioni – ha proseguito Renzi – per un referendum voluto non per discutere di energia ma per esigenze di politica interna». Il presidente del consiglio ha poi raccontato un aneddoto, riguardante un neo-diciottenne che gli avrebbe scritto per chiedergli consiglio su come comportarsi nell’imminenza del referendum. «Ho ricevuto email da parte di un ragazzo che ha compiuto 18 anni e che mi chiedeva un consiglio – ha detto in tv Renzi -. Gliel’ho dato. Provava il brivido di votare per la prima volta. Ho fatto fatica a spiegare le ragioni del non voto».
A giustificazione dell’invito all’astensionismo, il premier ha sottolineato i rischi annessi a una possibile abrogazione della norma. «Il presidente del consiglio dovrebbe stare dove si rischia anche solo un posto di lavoro – ha aggiunto -. Il mio pensiero va alle tante crisi aziendali aperte: Almaviva, Gela, Meridiana, Italcementi, Ilva».
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