Oltre un milione di sì che equivalgono a un 75,88 per cento che basterebbe da solo per dimostrare come, anche in Sicilia, sul tema del taglio dei parlamentari non ci sia stata storia. Il referendum costituzionale ha confermato la riforma approvata l’anno scorso in Parlamento e apre le porte a una drastica riduzione dei deputati e dei senatori che, a partire dalla prossima legislatura, andranno a occupare gli scranni romani. Nell’isola saranno 29 i seggi che si perderanno. Per i sostenitori del sì un’opportunità per responsabilizzare chi riuscirà a essere eletto, per chi ha votato no un colpo inferto alla rappresentatività del parlamento. Tra chi nelle scorse settimane si è espressa più volte contro la riforma c’è Sara Gentile, professoressa associata di Scienza politica all’Università di Catania.
Professoressa, in Sicilia su quattro votanti in tre hanno chiesto di tagliare. Se lo aspettava?
«A livello nazionale i sì hanno sfiorato il 70 per cento. Sono percentuali eloquenti. Il no ha preso meno della metà dei voti del sì. Io continuo a pensare che con questo taglio la funzione primaria del Parlamento verrà indebolita».
Chi ieri ha esultato le risponderebbe che i parlamentari si sentiranno più responsabilizzati, essendo di meno conterranno di più.
«Non è una tesi convincente. A partire dal fatto che non è detto che a essere tagliati saranno i peggiori. Anzi, con questo andazzo, c’è da pensare che chi rimarrà in Parlamento potrà ancor meglio esprimere i desiderata dei capi di partito. Il nuovo Parlamento non garantirà una qualità migliore, era la legge elettorale che andava cambiata».
Anche a questo riguardo in molti le direbbero che, ora che la riforma è passata, una nuova legge elettorale sarà inevitabile.
«Bisogna vedere come verrà fatta. In questo Paese il bisogno di riforme reali è altissimo, bisognerebbe mettere mano al bicameralismo perfetto che, con le sue lungaggini, allontana il Parlamento dall’obiettivo dell’efficienza a cui dovrebbe ambire essendo l’organo deputato a rappresentare la volontà popolare».
Lei crede nel potere terapeutico del ritorno alle preferenze? O, con i tempi che corrono, sarà un modo per rinsaldare il clientelismo?
«Beh, non è che con le liste bloccate le cose cambino, anzi. Assistiamo al clientelismo dei partiti, per cui si è candidati soltanto in nome della fedeltà ai vertici. Berlusconi in questo ha fatto scuola. La verità è che il tema della qualità della classe politica andrebbe affrontato alle radici».
Si spieghi.
«Dico che se paragoniamo la nostra classe politica a quella dei principali paesi europei emerge in maniera lampante come in Italia il livello sia decisamente più basso. Altrove si fa gavetta nei partiti e si studia per essere preparati alla gestione della cosa pubblica. Bisognerebbe ripartire dalle competenze, senza quelle non si va da nessuna parte».
Grillo, qualche anno fa, avrebbe messo una casalinga al ministero dell’Economia.
«Già Platone diceva che il cuoco non poteva fare l’uomo di governo. Oggi invece basta andare due volte in un salotto televisivo che ci si ritrova in lista. La verità è che oggi in Italia si fa fatica a trovare un parlamentare che abbia davvero una visione complessiva della società».
Il risultato del referendum è un successo del Movimento 5 stelle?
«Lo hanno salutato come un traguardo storico. Io dico che sicuramente contribuirà a indebolire qualsiasi ambizione di leadership all’interno del governo da parte del Pd».
Tra i partiti, più di uno nelle ultime settimane, si era sfilato dalla campagna in favore del sì. Alla fine il risultato è stato schiacciante comunque.
«Al momento c’è una retorica populista che ha la meglio su tutto. Incontra e cattura un disagio sociale al quale, in questo caso, si è dato in pasto un pezzo di carne gustoso per acquietarlo. Neanche Salvini, che nei territori faceva sotto banco campagna per il no, ha inciso. Spero sia l’ultimo colpo di coda di un populismo molto cangiante».
A proposito di Salvini, come giudica il risultato nelle Regioni in cui si è votato per il rinnovo dei consigli?
«Tolte le affermazioni al Nord, dove era prevedibile, registriamo una frenata importante nella capacità di penetrazione della Lega nell’elettorato del Meridione. E devo dire che anche il Movimento 5 stelle ha tutt’altro che brillato».
A colpire in negativo in Sicilia è ancora una volta il dato sull’affluenza.
«Torniamo al concetto della qualità della classe politica. L’astensionismo può nascere dall’apatia nei confronti della politica ma anche dal non riuscire a trovare soggetti nelle cui idee riconoscersi. L’economista Joseph Schumpeter diceva che una delle condizioni affinché il popolo scelga in maniera consapevole è la qualità dei competitori».
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