Il nuovo capitolo della storia del killer delle carceri Droga, pestaggi col piccone e l’ennesimo omicidio

Iddu, ovvero Benito La Motta non è l’unico «zio» del clan referente dei Santapaola-Ercolano nella zona ionica del Catanese. Oltre a lui, c’è anche u zu Nino. Antonino Marano (classe 1944), detto anche u vecchio e meglio conosciuto come il killer delle carceri, ha trascorso 49 dei suoi 76 anni in cella, lì dove gli è stata notificata anche l’ultima ordinanza di custodia cautelare per l’operazione Iddu della Direzione distrettuale antimafia di Catania

Nato a Mascali e residente in un quartiere popolare di Riposto, Marano, dal 31 gennaio del 1965, ha vissuto quasi ininterrottamente dietro le sbarre. La sua carriera criminale – che è anche raccontata in un libro dal titolo L’ultimo giro di chiave, scritto dalla giornalista Emma D’Aquino – inizia con un furto di melanzane e peperoni. E di una bicicletta. Nel 1988, nell’aula bunker delle Vallette a Torino, Marano fa esplodere una bomba artigianale, contenuta in un pacchetto di sigarette, con l’obiettivo di colpire un altro degli imputati nel maxi-processo contro il clan dei Catanesi: Nuccio Miano (fratello del più noto Jimmy, braccio destro del Tebano Angelo Epaminonda), che nel 1987 aveva tentato di ucciderlo sparandogli in un’aula di tribunale a Milano.

Più di recente, nel dicembre del 2019, Marano è stato accusato di essere uno degli autori dell’efferato omicidio del 27enne Dario Chiappone. Sette mesi prima, il pluriergastolano sicario del gruppo dei Cursoti milanesi era stato arrestato perché i carabinieri avevano trovato nella tracolla che indossava una pistola ben oleata, con la matricola abrasa e un colpo già in canna, oltre che un coltello a serramanico con la lama di dieci centimetri. Marano, con le armi, ci ha spesso avuto a che fare. L’11 aprile del 2017 Agatino Tuccio (anche lui arrestato nell’operazione Iddu e condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio Chiappone, accoltellato 18 volte tra collo e torace) va a casa dello zio Nino. Due colpi di clacson come segnale e Marano scende. Insieme vanno in una zona di campagna di Riposto dove u vecchio gli consegna una pistola. «È una bella nove, lo sai? Questa ha 14 colpi».

Poco meno di un anno dopo, le forze dell’ordine perquisiscono l’abitazione del killer delle carceri. «Ma penso per l’omicidio di là sopra – riferisce Marano a Antonino Falzone, il figlio della sorella di Idda, ovvero la moglie di Motta, Grazia Messina  Si sono portati due coltelli. Tutti quei tipi di giubbotti che ho li hanno guardati e le suole delle scarpe. Non hanno disturbato. Meno male che non mi hanno trovato quella cosa (per gli inquirenti qui il riferimento è a un’arma, ndr) ma perché sono stato veloce e l’ho messa bene. Per andare dove la metto, ti devi mettere per terra in ginocchio. Perciò questa è stata strafottenza o mi hanno dato una specie di preavviso». Il nascondiglio, questa volta, pare avere funzionato. 

Per gli inquirenti, i dialoghi intercettati dimostrano che u vecchio è consapevola della «propria appartenenza al sodalizio criminale dando di volta in volta il proprio contributo alla consumazione dei reati». Estorsioni, recupero crediti, risoluzioni di varie problematiche all’interno del clan. Tanto che negli appunti manoscritti con i conti per le suddivisioni dei soldi ottenuti dalla vendita delle sostanze stupefacenti c’è anche «vecchio» come destinatario. Sono somme importani, non spiccioli che avanzano. 

Dalle indagini è poi emersa anche la sua partecipazione alla spedizione punitiva contro uno dei ladri che ha rapinato una pizzeria che si trovava sotto la protezione del clan. Durante il pestaggio messo in atto da Falzone, Marano si prende pure un colpo in testa. «L’ho addifittiato (gli ho fatto male, ndr) gli ho spaccato la testa e la fronte – racconta Falzone senza sapere di essere intercettato – L’ho preso a colpi di piccone, glielo stavo infilando in testa. Ti devi fare il conto – aggiunge – che gli è arrivato anche un colpo in testa al vecchio perché si è abbassato: ho caricato un colpo e non l’ho preso in pieno ma a sfiorare. Gli ho detto: “Zio Nino, lei, quando è, si deve togliere perché io non vedo più niente specialmente quando c’è il pane nostro, della famiglia“». 

Marta Silvestre

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