«Reato di solidarietà»

Dieci aspiranti calciatori si trovano in fretta: migranti e ragazzi del quartiere formano due squadre miste. E’ tardo pomeriggio e la parrocchia di Bosco Minniti si popola. Qualcuno ritorna dopo una dura giornata di lavoro, qualcun altro, sconsolato, anche oggi non ha trovato impiego. C’è chi chiacchiera seduto su una panchina del giardinetto, chi guarda la televisione, chi legge.
Intanto in chiesa Amadou e Jerome trasportano sedie, cavalletti, posate e grandi tovaglie colorate per apparecchiare le due lunghe file di tavole di legno che l’abside ospita al posto dell’altare. Al piano di sopra, in una piccola cucina, Lamine sta preparando la cena, un piatto unico con sugo e verdure, mentre Jelloul asciuga i piatti appena lavati. In un pentolone è stata buttata la pasta per le circa 40 persone che ogni sera si fermano a cenare qui. E’ palpabile nell’aria un’atmosfera di serenità. Avere uno spazio da condividere liberamente, un luogo in cui sentirsi circondati di volti amici, sapere di essere aspettati, di avere un materasso per dormire, acqua e cibo a sufficienza, è tesoro inestimabile per tutti. Siamo a Siracusa, nella parrocchia di Padre Carlo D’Antoni, il prete fatto arrestare dal Gip catanese Luigi Barone. Il parroco, ai domiciliari dal 9 febbraio al 17 marzo 2010, è accusato di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento della illecita permanenza di stranieri nel territorio dello stato Italiano, di falso ideologico in atto pubblico e false dichiarazioni a Pubblico Ufficiale. Le indagini ipotizzano un collegamento tra la parrocchia e lo sfruttamento della prostituzione nel napoletano, dove è stato fermato un giovane che presentava  l’indirizzo della chiesa nella sua documentazione.
Insieme a Padre Carlo sono sotto accusa un  volontario della parrocchia, Antonino De Carlo, l’avvocato Aldo Valtimora, che avrebbe speculato sulla gestione delle pratiche burocratiche, due nigeriani, una donna cinese e due mamas nigeriane tuttora ricercate. Padre Carlo da quindici anni offre ospitalità ai migranti e rilascia loro un’attestazione d’elezione di domicilio, clausola indispensabile per avviare le pratiche di permesso di soggiorno, nonché indirizzo di riferimento per la questura stessa nel caso in cui si avesse la necessità di contattare qualcuno. Non tutte le circa 800 persone che ad oggi hanno il suo indirizzo vivono però a Siracusa, la chiesa riesce a ospitarne circa una cinquantina a rotazione. Avviato l’iter burocratico i migranti si spostano, infatti, in tutta Italia alla ricerca di lavoro e sicurezza sociale. «Il vero problema è lo sfruttamento della manodopera attraverso il meccanismo del caporalato che rende questi uomini schiavi e senza possibilità alcuna di trovare la stabilità di cui vanno in cerca». Padre Carlo racconta, infatti, che molti diventano lavoratori stagionali, sfruttati nei campi come braccianti in nero a pochi euro l’ora o spesso non pagati, e quindi costretti a riferirsi sempre a quel primo indirizzo dichiarato. Interrogato più volte, Padre Carlo ha risposto all’accusa, che si basa su un collage di intercettazioni telefoniche e ambientali, chiarendo il suo operato, comune a tante altre organizzazioni che si battono per la difesa dei diritti civili di queste persone, come la Comunità di Sant’Egidio e l’Istituto Astalli di Roma. «Preoccupato dalle continue insistenze della questura di Siracusa, che mi sollecitava a dichiarare ospitalità soltanto a chi realmente vivesse in parrocchia, mi sono rivolto più volte al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero degli Interni, per verificare che la mia posizione fosse legale, cosa che mi è sempre stata confermata. L’accusa teorizza adesso che io mi rivolgessi loro per aggirare le richieste della questura con potenti appoggi politici». Il sacerdote, che, in attesa del processo, ha sospeso il rilascio delle dichiarazioni d’ospitalità, parla della sua esperienza con i migranti come battaglia civile prima ancora che religiosa. Due giorni prima di essere arrestato aveva presentato un esposto per denunciare i maltrattamenti inflitti ai migranti presso gli uffici della questura, da anni ormai inadeguati alla gestione di un fenomeno in crescita come quello dell’immigrazione, sia per gli spazi ridotti che per ragioni di incompetenza: la conoscenza delle lingue straniere, ad esempio. Inoltre, a preoccupare Padre Carlo sono le dinamiche del Paese che «sta scivolando sempre più verso forme marcate di xenofobia, di respingimento di quei valori sanciti nella Carta Costituzionale e nelle Carte Internazionali, in un clima di sospetto e paura verso gli stranieri, che non fa che favorirne lo sfruttamento e la clandestinità».
Delle circa 1800 persone che sono state ospitate nessuno ha mai denunciato maltrattamenti o estorsioni. «Vivere qui è difficile – racconta Lamine, un giovane gambiano ospite della comunità da tre mesi – non si trova lavoro. Vorrei fare il muratore. Per il momento, quando riesco, pulisco case. Padre Carlo e tutti qui permettono che almeno la fame, le medicine e un materasso per dormire non siano un problema. E’ un grande regalo». Lamine, come molti dei ragazzi che sono qui, ha venduto tutto quello che aveva per attraversare l’Africa e il Mediterraneo. Il viaggio in barcone lo ha pagato 1200 dollari, da aggiungere a quelli spesi per arrivare dal Gambia alla Libia. Di storie come la sua Padre Carlo ne ha ascoltate tante, fino a fare una scelta civile che spesso gli è costata il giudizio negativo della comunità del quartiere che non vede di buon occhio la presenza dei migranti: «Molti parrocchiani sono andati via perché non sopportavano la presenza di straccioni, neri, nullatenenti. Ma io credo che il Padreterno sia contento se molto spesso, invece di odore di incenso, sente puzza di piedi o profumo di pasta con la salsa». Intanto in chiesa, finita la cena, mentre qualcuno sparecchia, Jelloul ed altri stanno già distribuendo i materassi per la notte. Ognuno sceglie un angolino per sé. Qualcuno prega il proprio Dio, senza subire discriminazioni o coercizioni.       

*Antonia Cosentino collabora con Step1 dal 2007. Dopo essersi laureata presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Catania, oggi frequenta il corso di Laurea Magistrale in Editoria e Giornalismo della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma”.

Antonia Cosentino

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