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Sigfrido Ranucci è l’autore de “I viceré”, l’inchiesta su Catania andata in onda lo scorso 15 marzo nell’ambito della trasmissione “Report” di Milena Gabanelli. Domenica scorsa Report è tornata a Catania per raccontarci “come è andata a finire”. Step1 ha invece intervistato Ranucci per parlare del suo programma. Un programma, ci ha spiegato, che ha scelto di parlare di Catania «perché essa è, nel suo piccolo, un sistema. Un sistema complesso ma che – diciamolo a scanso di equivoci – appartiene a gran parte dell’Italia. C’è un problema Sud che sta piano piano prendendo piede nelle grandi città».
L’intervista spazia sui vari aspetti dell’inchiesta: i contenuti trattati, le reazioni suscitate in città, la richiesta di risarcimento civile annunciata dall’editore Mario Ciancio, l’edizione siciliana di Repubblica non distribuita a Catania. Su quest’ultimo tema, Ranucci ci ha precisato che era stata chiesta una dichiarazione al direttore di Repubblica Ezio Mauro. Ma quest’ultimo ha preferito non intervenire nella trasmissione, dicendo che eventuali dichiarazioni spetterebbero semmai al suo editore.
L’intervista è stata anche un’occasione per parlare di come si confeziona una videoinchiesta: l’importanza dei collaboratori locali, l’uso della telecamera “nascosta”, la tecnica giusta per vincere la diffidenza degli intervistati, il “colore” ecc. E, infine, per riflettere sul futuro del giornalismo di inchiesta e sulle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Il videogiornalismo, in cui un’unica persona gira, monta, pianifica il servizio, è una prospettiva importante per il giornalismo degli anni a venire? L’inchiesta in Italia è morta? Trasmissioni come Report, o i lavori di Rai news 24 stanno invece dimostrando che non tutto è perduto?
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