Il premier Matteo Renzi li ha definiti «comitatini», accusandoli di bloccare lo sviluppo energetico dell’Italia. Eppure l’elenco delle adesioni per il Trekking no Triv di domani nella valle del fiume Irminio a Ragusa è lungo. L’evento è stato lanciato da Legambiente e dal comitato ibleo No Triv e vede la partecipazione di molte sigle e cittadini. Insieme per un’escursione dalla forte valenza simbolica e politica: passeggiare nei luoghi che alcune società petrolifere vorrebbero perforare. Per dire no e difendere il turismo e il paesaggio. Ma anche i piccoli proprietari agricoli e gli allevatori, che temono l’inquinamento della loro terra o, come è già successo, che le trivellazioni facciano scomparire le sorgenti d’acqua.
La valle del fiume Irminio – che dal monte Lauro taglia la provincia di Ragusa e sfocia nel Mediterraneo – è protetta da vincoli paesaggistici e fa parte dell’omonima riserva naturale. È una delle zone del Ragusano su cui le compagnie petrolifere da tempo hanno messo gli occhi. Proprio qui si trova uno dei cinque impianti siciliani sulla terra ferma (gli altri sono a Gela, Giurone, Ragusa e Sant’Anna) da dove vengono estratti in totale 714mila tonnellate di petrolio (dato del 2013) all’anno, il 15 per cento della produzione nazionale sulla terraferma.
Nella valle del fiume a pompare il liquido nero è la Irminio Srl, società di investitori statunitensi che nella provincia di Ragusa ha grossi interessi. Da decenni in quest’area possiede tre pozzi, di cui al momento solo uno risulta ufficialmente funzionante. La produzione è calata in cinque anni da circa 40mila tonnellate di petrolio nel 2008 a circa 17mila del 2013. Ecco perché la società guarda oltre. Insieme a Eni ed Edison è titolare anche del pozzo di Sant’Anna, sulla strada tra Ragusa e Santa Croce Camerina. Qui l’estrazione è molto più ingente, si parla di 400mila tonnellate all’anno.
Irminio srl è convinta che lo stesso giacimento da cui attinge il pozzo di Sant’Anna si estende anche più a Nord. Proprio nella valle dove scorre il fiume. E vogliono verificare perforando ed effettuando nuovi carotaggi. Se trovassero il petrolio, il progetto prevede anche la realizzazione di un oleodotto di 35 chilometri fino al porto di Pozzallo e un’ulteriore tubazione di circa sei chilometri sotto il mare, per dare la possibilità alle petroliere di caricare a largo della splendida costa ragusana.
Alla società non serve una nuova concessione da parte della Regione, possedendone già una per la valle dell’Irminio rinnovata nel 2012 e che ha scadenza nel 2022. «La Soprintendenza ha dato parere favorevole nonostante il piano paesaggistico lo vieti e per questo ci siamo rivolti al Tar – denuncia il presidente del circolo Legambiente Il Carrubo, Antonino Duchi – adesso rimane solo l’autorizzazione del Comune che non si è ancora espresso. Noi chiediamo che si opponga perché il piano regolatore per quell’area prevede attività artigianali, mentre in questo caso si tratterebbe di attività industriali. Il fiume Irminio ha già tanti problemi con sorgenti a rischio e scarichi in acqua. Anche piccole alterazioni potrebbero provocare gravi danni e inoltre le trivellazioni non porteranno ricchezza al nostro territorio».
Oltre al pozzo già esistente e a quello che vorrebbero scavare sul fiume Irminio, l’impresa ha presentato alla Regione altre due istanze per la ricerca sulla terraferma: una per la zona di Case la Rocca – tra Ragusa e Marina di Ragusa – e un’altra per il territorio di Scicli, Comune dichiarato patrimonio Unesco. Per la prima l’istruttoria è ancora in corso, per la seconda a dicembre la Regione ha rilasciato la Valutazione d’impatto ambientale. «Il 70 per cento del territorio di Scicli è potenzialmente interessato – spiega Claudio Conti, di Legambiente – siamo nella fase di prospezione geofisica, fanno cioè dei buchi nel terreno e con l’esplosivo simulano piccoli terremoti per verificare gli strati geologici. Poi passeranno a zone più limitate per i carotaggi».
A rischiare sono le tante imprese agricole e gli allevatori della zona. «A causa dell’attività di trivellazione una sorgente d’acqua è già scomparsa», spiega Conti. In più, le caratteristiche carsiche della zona la rendono particolarmente vulnerabile. «Nel 2011 – continua l’attivista di Legambiente Ragusa – dal pozzo di Sant’Anna sono stati persi dei fanghi di perforazione e nel giro di due giorni li hanno trovati in una sorgente dell’acquedotto di Santa Croce Camerina, l’acqua era diventata bianca». Per l’inquinamento della falda acquifera è in corso un processo al Tribunale di Ragusa che vede imputati nove tecnici dell’Enichem.
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