L’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo e il figlio 24enne Salvatore (detto Toti) sono indagati dalla procura di Catania per voto di scambio. A far scoppiare letteralmente una bomba in una Catania sonnecchiante di metà luglio è un comunicato proveniente dagli uffici di piazza Verga. In cambio del voto al giovane delfino dell’ex leader del Movimento per l’autonomia, candidato ed eletto alle elezioni regionali del 28 ottobre 2012, padre e figlio avrebbero «promesso a Privitera Ernesto e a Marino Angelo un impiego lavorativo in favore dello stesso Marino e di Giuffrida Giuseppe, questultimo di seguito effettivamente assunto; reato consumato in Catania il 18 marzo 2013», si legge nella nota diffusa dalla procura. Padre e figlio avrebbero ricevuto la notifica già ieri.
L’accusa odierna non è una novità in casa Lombardo. Raffaele, eletto governatore della Sicilia nel 2008, si è dimesso in anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato per affrontare il processo che lo vede imputato assieme al fratello Angelo (ex deputato che però ha scelto il rito ordinario, anziché l’abbreviato) per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato in un filone del maxi-processo Iblis, il procedimento sulle presunte collusioni tra mafia, imprenditoria e politica. Proprio Angelo Lombardo, secondo le dichiarazioni rese dall’ex reggente della famiglia Santapaola-Ercolano Santo La Causa, avrebbe partecipato ad incontri nei quali si discuteva della riorganizzazione del clan e della gestione degli appalti pubblici. Anche un altro pentito, Gaetano D’Aquino, esponente dei Cappello, ha tirato in ballo il fondatore dell’Mpa: nelle tornate elettorali del 2006 e del 2008 le famiglie catanesi avrebbero ricevuto l’indicazione di voto per più di un candidato del partito di Lombardo. In cambio, anche in questo caso, posti di lavoro, oltre a denaro o facilitazioni nei rapporti con la pubblica amministrazione. Un modus operandi confermato pure dall’imprenditore Saro Puglia.
Verbali su verbali che si susseguono. Accuse sempre respinte dal giovane Toti. «Il pentito non è verità che cola, se non ci sono riscontri nei fatti sosteneva qualche settimana prima della sua elezione all’Ars Ci sono pentiti che hanno devastato la storia di questo Paese. Io voglio delle risposte su mio padre, ma voglio che non ci siano dubbi in proposito continuava Come prendere le dichiarazioni di Maurizio Di Gati (ex reggente di Cosa Nostra nellAgrigentino, ndr) che dice di aver ricevuto ordine di votare Mpa, ma in un precedente interrogatorio aveva detto di sostenere un candidato Udc? A chi dobbiamo credere? A Di Gati prima o a Di Gati dopo? Onestamente, non lo capisco. E aspetto che il processo lo stabilisca».
Ma è proprio il reato che oggi lo vede balzare agli onori della cronaca, il clientelismo, uno dei cavalli di battaglia di Toti Lombardo. «Io credo che sia il momento di annientare i meccanismi clientelari, che sono stati usati fino ad oggi per creare consenso. È una sorta di schiavismo che subisce la gente nei confronti della classe dirigente», spiegava qualche mese fa. La sua candidatura, per ammissione dello stesso Toti, non era molto ben vista dal padre. Che nel corso dell’ultimo convegno a sostegno del figlio incitava i sostenitori: «Questi sono i giorni decisivi, bisogna parlare con le persone, una per una, chiamare tutti i vostri contatti ed usare argomenti convincenti». E da subito metteva in guardia: «Quello del politico è il mestiere più ingrato, difficile e calunniato».
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