Raccontare la mafia? Si può

“Conversazioni in Sicilia” è il titolo di un ciclo di incontri organizzato dalla facoltà di Lettere e Filosofia di Catania. Filo conduttore delle conversazioni è la “condizione siciliana”. In questo contesto si inserisce la presentazione del libro di Salvatore Scalia, La punizione, tenutasi lo scorso sabato pomeriggio al monastero dei Benedettini. Il romanzo è una ricostruzione libera di un infanticidio compiuto dalla mafia catanese trent’anni fa. Qualcuno ricorderà il nome del boss Santa Paola, presunto mandante dell’omicidio dei quattro ragazzini, rei di avere scippato la madre del mafioso.

 

Prende la parola per primo il Prof. Di Grado, capace di fare assaporare l’atmosfera del romanzo  anche a quanti dei presenti in sala non avevano ancora letto il libro.

“Questo romanzo è feroce, la scrittura è secca e tagliente. C’è uno sguardo freddo e lucido. Ma non si tratta di un noir, è qualcosa di più. Scalia non indugia su effetti pulp. Crea personaggi, coscienze. Esplora la quotidianità di un quartiere, S.Cristoforo, un luogo infetto di Catania, fatto di vinti. La riproduzione di questi ambienti passa attraverso il linguaggio dei personaggi, un linguaggio fatto di truculenze verbali, che riproduce un mondo efferato, con i suoi miti, pregiudizi e disvalori. Questo libro tuttavia ha un cuore segreto: la non-storia della segregazione di questi ragazzini rapiti e poi uccisi. Le atmosfere buie conferiscono il brivido, danno il senso della segregazione, riempita, a volte, di delirio ed esorcismo. È un romanzo che finalmente racconta la mafia, un romanzo eterno, lontano da tutta quella letteratura che vuol far retorica o che vuol suonare il piffero. ”.   

 

La parola passa poi all’avvocato penalista, Enzo Guarnera, che si sofferma soprattutto sulla figura del boss Santa Paola che l’avvocato ha conosciuto personalmente per motivi professionali.

“ Ho avuto dei colloqui con lui, attraverso le sbarre. Il tratto apparentemente distinto e ossequioso di questo signore, può trarre in inganno. Potrebbe addirittura sembrare che ci sia finito per sbaglio in carcere. In realtà dietro questa apparenza si nasconde un uomo feroce. Di quelli che personalmente non si macchia le mani ma che è mandante di centinaia di omicidi.  Ebbene questo libro smitizza il ruolo che Santa Paola voleva far credere di avere a Catania. Lui si poneva come colui il quale non voleva che si spargesse sangue. Ma questo è ovviamente falso. E Scalia nel suo libro ricostruisce in modo efficace la psicologia di Santa Paola: un uomo apparentemente per bene, addirittura elegante,  uno che è cresciuto ai salesiani e che ha la bibbia sul comodino. Ma un uomo pericoloso e feroce. La cosa peggiore è che la realtà descritta in questo libro esiste ancora. Ancora oggi i ragazzini di quei posti vivono in quel modo, destinati a un certo tipo di futuro. Ma la colpa è di tutti. Questo libro dovrebbe indurre alla riflessione sulla responsabilità che grava sulla coscienza di ogni singolo cittadino.”.

 

Non poteva mancare infine un parere tecnico di una scrittrice, forse più un elogio, ma indubbiamente meritato. Giovanna Giordana ha avuto il “privilegio di leggere il libro in dattiloscritto”[…]“Eppure mi sono sentita subito inghiottita, travolta, in una tragedia greca.-commenta-Ma la tragedia non è solo il rapimento dei ragazzini. La cosa atroce è il silenzio che si raccoglie intorno al fatto e che parte proprio dalle madri che non reclamano l’assenza dei figli. La Punizione non è un trattato sociologico, infatti non si parla solo di mafia. Attraverso questo libro si comprende la realtà descritta più di quanto non lo si possa fare con un freddo saggio. La storia palpita, prende il lettore, perché chi scrive conosce bene i fatti, gli ambienti, il linguaggio. Perciò il libro è credibile e affascinante. E conclude: “Se ha conquistato tanti lettori e un editore come Cesare De Michelis è perché urla un grido di dolore: Come si può uccidere un bambino?!”.

 

Interviene a questo punto il Preside Iachello che da storico si interroga sul ruolo che un romanzo del genere potrebbe avere nella vita di ognuno. Uno di questi è indubbiamente la presa di coscienza di “un mondo diverso (quello dei cosiddetti mammoriani) ma con il quale siamo continuamente a contatto e che in fondo conosciamo.”

E passa poi alle domande e alle contestazioni con l’intento di “ravvivare la conversazione”. Invito raccolto sia dall’avvocato Guarnera, che chiarisce la questione dei colloqui col boss, che da Scalia, al quale viene finalmente ceduta la parola. 

“Sono felice di essere stato assolto a pieni voti da tutti. Quella del mio romanzo è una verità letteraria.”-dice l’autore. Al Prof. Iachello, che lo interrogava sul personaggio di Santa Paola, risponde: “Santa Paola è un personaggio grottesco che però vive ed è protagonista, anzi motore, di una grande tragedia. Un altro aspetto fondamentale del romanzo è la rimozione operata da subito da parte di tutti riguardo ad un evento così grave. Nel 76 Santa Paola fa ammazzare i quattro ragazzini. E però questa città non solo non reagisce ma si dimostra anche moralmente complice. Allora mi sono chiesto: Qual è il ruolo di un intellettuale, di un cittadino, di tutta la collettività, se non combattere questo silenzio? Con questo libro ho voluto restituire un’anima a quei ragazzi uccisi che la giustizia chiama corpi del reato. ”

 

Al dibattito interviene infine anche il Prof. Granozzi: “La bellezza di questo libro-dice-sta nella forza di immaginazione. Mi sono informato dopo aver letto il libro e ho scoperto che Scalia non ha utilizzato nessuno, o quasi, dei documenti ufficiali. Eppure descrive molto bene la cultura mafiosa, anzi la bellezza del romanzo è data proprio da questa descrizione che è molto rara. Un’altra osservazione-aggiunge-I problemi dei ragazzini descritti nel libro esistono tuttora, ma qualcosa è cambiato rispetto ad allora. Quei ragazzi oggi non rimangono più nel loro quartiere ma vivono in mezzo agli altri, nel cuore della città: non possiamo più ignorarli!”

Il dibattito si conclude fra i ringraziamenti di Iachello. Me ne torno a casa con qualche dato in più sui morti-ammazzati-dalla-mafia. Sono un po’ triste. “Vorrei leggerlo questo libro.”-penso. Ma so già che domani tornerò a pagarlo quel parcheggiatore che altrimenti, magari, mi fa sparire la macchina. E tutti noi nel nostro piccolo, ogni giorno, reggiamo il gioco a “quelle persone”. O comunque ce ne stiamo al nostro posto per non dare fastidio. Forse è qui che manchiamo. Forse è arrivato il momento di dare fastidio.

Stefania Placenti

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