Quella che un tempo era la villa del noto boss mafioso Totò Riina, oggi all’ergastolo in regime di 41 bis, dopo il sequestro e il suo inutilizzo per anni è stata consegnata, lo scorso 16 febbraio, all’ordine dei giornalisti della Sicilia dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. Un evento accolto con piacere da tutte le parti politiche, ma soprattutto dalla società civile che vede trasformato un luogo di criminalità in luogo di legalità. Abbiamo intervistato il presidente dell’ordine dei giornalisti siciliani Franco Nicastro.
Che valenza dà alla consegna della villa di Riina all’ordine dei giornalisti siciliani?
«È certamente un fatto importante, con una fortissima valenza simbolica e sociale. Sono tanti i progetti che si potrebbero sviluppare, ma al momento non è possibile fare molto perché bisogna ristrutturare l’immobile che è disastrato sia all’interno che all’esterno. Consideriamo che ci sono circa 200 metri quadri di giardino. Ci siamo impegnati a ristrutturare e spendere 150 mila euro nell’arco dei 19 anni della concessione che poi, comunque, sarà rinnovata alla scadenza».
Dove troverete le risorse per una tale spesa?
«Vedremo, ma credo che ci affideremo ai bandi comunitari e ai mutui».
Quali sono i progetti culturali in cantiere?
«Oltre a trasferire qui i nostri uffici, vogliamo diventare un punto di riferimento per le attività culturali di Palermo e non solo, con mostre, presentazioni di libri, convegni, collaborazioni con le scuole e la città. Vogliamo anche fare qualcosa per elevare il livello professionale e il bagaglio culturale dei nostri giornalisti e ancora dei corsi di aggiornamento o master per aspiranti pubblicisti. Per l’immediato abbiamo scelto di organizzare una mostra dedicata al giornalismo che non muore, che ricorda chi non c’è più solo perché ha fatto il proprio lavoro di giornalista. Parlo di persone come Giuseppe Impastato, Giuseppe Fava, Maria Grazia Cutuli o Mario Francese, gente tenace e capace».
È possibile pensare di ospitare risorse archivistiche come per esempio quella de L’Ora, quotidiano palermitano nato all’inizio del secolo scorso e che cessò le sue pubblicazioni nel 1992, e conservato nella biblioteca regionale?
«Non credo sia una cosa possibile. Tempo fa ci fu il rischio di perdere questo grande patrimonio e per questo fu acquisito dalla biblioteca regionale. Per il futuro c’è un progetto di digitalizzazione di cui si parlerà anche lunedì primo marzo nella sede del rettorato palermitano, palazzo Steri, con personaggi come Vincenzo Cunsolo, Salvatore Lupo e Giovanna Fiume».
Recentemente l’assessore regionale alla Formazione, Mario Centorrino ha dichiarato che sarebbe meglio non leggere, almeno per un po’, Sciascia, Tomasi di Lampedusa o Camilleri perché portano sfiga. Crede che lo stesso valga anche per quei giornalisti che hanno scritto sulla mafia e magari hanno perso la vita per questo?
«La dichiarazione di Centorrino è per me stupefacente, non me l’aspettavo. Io ho un’opinione del tutto diversa e in tutti i nostri progetti non mancheranno di certo gli autori siciliani. Sciascia, che era anche un giornalista, lo rileggo di continuo. I suoi libri, insieme a quelli degli altri scrittori citati e no, rappresentano strumenti fondamentali e irrinunciabili di formazione e di una coscienza civile vigile e critica».
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