«Parigi è stordita perché ha compreso che stavolta gli obiettivi siamo noi. È stata attaccata la gente, hanno colpito il ventre della città. Non i turisti, non sono andati Montmartre: hanno scelto di terrorizzare i parigini». È ancora sotto choc Paolo Purpura, palermitano che da circa un anno vive a Parigi dove lavora per un istituto di ricerca. Ieri sera, assieme ad alcuni conoscenti, si trovava in un locale per festeggiare il compleanno di un’amica, a pochi passi dalla zona colpita dai terroristi, nell’undicesimo arrondissement. Una tragedia di cui ancora non si conoscono con precisione i contorni ma che appare già immensa: almeno 120 morti e un centinaio di feriti gravi. Un colpo durissimo. Che stavolta colpisce tutti i parigini.
«Ieri sera mi trovavo nell’undicesimo arrondissement, nella zona dove si sono concentrati gli attacchi. Stavamo festeggiando il compleanno di un’amica. All’improvviso, intorno alle 22, il responsabile del bar ha comunicato che chiudevano in anticipo per una sparatoria». Inizialmente Paolo e i suoi amici hanno lasciato il locale senza capire bene il perché ma, a mano a mano che si spostavano per le strade chiuse, tra il frastuono delle ambulanze, hanno incominciato a comprendere la gravità di quanto successo. «Non ci siamo resi conto subito della gravità della situazione – racconta -. Pensavamo a un regolamento di conti tra bande rivali. Poi ci siamo accorti del clima surreale che popolava le vie della città. Da tutte le parti continuavano ad arrivare poliziotti che si posizionavano agli incroci, che chiudevano le strade e invitavano con fermezza le persone ad abbandonare i locali. Siamo rimasti storditi, ci siamo guardati in faccia non sapendo cosa fare».
Un’ora e mezza dopo tutte le strade erano deserte, si vedevano solo camionette e militari armati di fucili. Un clima surreale, gli autobus fermi e le metropolitane chiuse. «Molti si sono trovati in difficoltà nel tornare a casa – prosegue – fortunatamente qualcuno spontaneamente ha lanciato l’hashtag #porteouverte, indicando la zona di residenza, per offrire ospitalità ai parigini rimasti bloccati, lontani da casa». La sensazione è che dopo questa notte qualcosa sia cambiato, anche rispetto al tragico attentato compiuto nel gennaio scorso contro la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, in cui persero la vita 12 persone. «Parlando a caldo con gli amici l’opinione è che questa gente conosceva bene la capitale francese, le sue abitudini. I terroristi hanno attaccato il ventre della città, la sua movida. Sono luoghi che frequenta chi vive qui».
A poche ore dal terrore, oggi si respira «un clima assolutamente normale»: il traffico è tornato a impegnare le strade e le persone a popolare le vie ma forse è ancora presto per «metabolizzare quanto accaduto». «Siamo spiazzati – aggiunge – Forse questo è vero terrorismo: dopo l’attentato a Charlie potevi evitare le ambasciate, le sinagoghe, ma ora cosa fai? Eviti la metropolitana, i supermercati? Non si può. Mi domando se le persone qui a Parigi torneranno mai alla vita di prima. Il fatto stesso che sui social non vedo nessun richiamo a manifestazioni di piazze forse è la prova che la gente ha compreso che stavolta gli obiettivi siamo noi».
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