Mentre ancora infuria il dibattito sulla strigliata al Sud e ai suoi amministratori del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, arriva la notizia dell’ennesimo furto ai danni di un cantiere di Andrea Vecchio, coraggioso presidente dei costruttori catanesi, già sotto protezione dopo avere denunciato e fatto arrestare i suoi estorsori appartenenti al clan Santapaola. Stavolta si tratta di due escavatori, rubati dal cantiere della Rosolini-Cassibile. “Subisco danni per milioni di euro, le istituzioni devono aiutarmi”, dichiara Vecchio.
Qualche tempo fa, era l’estate del 2007, Ettore Artioli, allora vicepresidente della Confindustria, propose di mettere a guardia dei cantieri di chi si ribella alla mafia i militari: «È opportuno l’intervento dell’esercito, una riproposizione dei Vespri siciliani – dichiarò -per difendere quanti tra gli imprenditori vogliono continuare a lavorare, rifiutando ogni condizionamento e respingendo con coraggio intimidazioni di ogni sorta».
Forse funzionerebbe. Forse gli operai di Vecchio potrebbero continuare a lavorare senza paura. Forse. Ma siamo sicuri che i cantieri dell’imprenditore catanese siano solo una sua “proprietà” da difendere impugnando una pistola?
Vengono alla mente i racconti sulle occupazioni dei feudi nel dopoguerra: la Piana di Catania illuminata dai falò, i canti, le risate sguaiate di vino rosso e fresche di zibibbo. Uomini e donne di tutte le età, accampati sotto le stelle, sui campi. Stretti l’uno accanto all’altro, armati solo del loro coraggio. Stavano a guardia di quello che nessuno aveva il diritto di prendersi, qualcosa che apparteneva (era sempre appartenuto) a loro e ai loro figli e ai figli dei loro figli: “La terra è di chi la coltiva. E noi da qua non ce ne andiamo”. Arrivò il giorno in cui i padroni dei feudi dovettero arrendersi. Certo, non ci fu terra per tutti e molti morirono su quei campi prima ancora di passarci l’aratro. Ma il giogo insopportabile di quella schiavitù era cancellato per sempre.
Oggi difendere i cantieri di Andrea Vecchio significa difendere la nostra dignità. Cosa (o chi) stiamo aspettando?
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