Catania è un forno in questa fine di giugno. Le temperature, tra domenica e linizio di questa nuova settimana, hanno toccato vette di 45 gradi, anche se cè chi racconta che i gradi segnalati dai termometri delle farmacie, ad esempio in via Vittorio Emanuele, folleggiavano i 50°. Equatore?
La città sembra il far west nella desolazione pomeridiana, tutti corrono a casa ad accendere condizionatori, ventole, ventilatori e ad abbassare le serrande per respingere il sole. Ed i telegiornali certo non rassicurano, citandoci continuamente come soggetti a rischio e ricordandoci le precauzioni da prendere assolutamente per evitare malori, insolazioni, bruciature.
Ma cè anche una parentesi affascinante, in questa faccenda di caldo infernale. Ovvero: le storie, che a Catania non possono mancare.
Prendete ad esempio quella di lunedì, allaeroporto di Fontanarossa. Nel terminal partenze, verso le ore 17, un gruppo di venti africani, schierati in cerchio, hanno inscenato – molti ci scommetterebbero – una vera e propria danza della pioggia. Una melodia continua, reiterata, un po monotona.
Con le loro vesti colorate e la loro pelle nerissima, hanno cantato per mezzora senza fermare mai il ritmo della voce. Una preghiera sentita e speranzosa. Un salmodiare fedele e continuo. I video con i telefonini si sono sprecati, i curiosi non si sono fatti scappare il colpo di fortuna. I più intraprendenti hanno cominciato adi intonare la melodia pure loro.
Purtroppo però la pioggia non è arrivata. Almeno non a Catania.
Peccato però, perché quella della danza della pioggia poteva essere una soluzione. Si potrebbe proporla ai piani alti del Palazzo degli Elefanti come tentativo estremo di salvare la nostra città dal collasso.
Perché tra blackout elettrici – è notizia di ieri (Palermo, facciamo a gara a chi ha più condizionatori accesi?) ed inquinamento ambientale, tra siccità (l’agricoltura in crisi) ed incendi (l’ultimo, tra le sterpaglie della Scogliera), questa rischia di essere unestate da record. Ricordate le maglie nere?
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