Storie spesso ignorate. Storie reali di uomini che lasciano la loro terra per inseguire la speranza e la possibilità di una vita migliore, in molti casi di una vita e basta. È a queste storie che il Centro Astalli di Catania vuole dare voce attraverso la messa in scena dell’opera teatrale La Porta della Vita, che si terrà stasera alle 20 all’auditorium De Carlo del Monastero dei Benedettini.
Il testo è tratto dal reportage dell’inviato di Repubblica Francesco Viviano, adattato per la scena dalla scrittrice Maria Elena Vittorietti. Lo spettacolo, interpretato da Massimo Geraci e accompagnato dalla musica composta ed eseguita dal vivo dal maestro Dario Sulis, racconta le storie vere di quattro uomini e donne a bordo del mercantile turco Pinar, che nell’aprile del 2009, venne mandato da Italia e Malta a soccorrere 145 clandestini nigeriani alla deriva.
In quanto nigeriani tutti potevano richiedere l’asilo politico, ma i due paesi non si decidevano su chi dovesse farli attraccare e per cinque giorni lasciarono in balìa del mare, su un mercantile attrezzato per 13 persone, equipaggio e naufraghi.
Il giornalista Franco Viviano insieme con Le Iene affittò un gommone e, sfidando il mare forza quattro, raggiunse il Pinar a largo di Lampedusa. Salito a bordo, colpito dalla situazione, invece di pensare al suo reportage, avvertì tutti i media di ciò che stava accadendo e delle bugie italiane e maltesi che raccontavano come tutto a bordo fosse tranquillo. L’Italia provò a diffidare il comandante turco Asik e non fare salire a bordo i giornalisti, ma oramai era troppo tardi. Così la Marina mandò dei medici ad appurare la situazione e emersero casi di meningite e quello di una ragazza incinta morta. Il Ministro Maroni fu costretto a fare sbarcare i clandestini che vennero trasferiti a Porto Empedocle e il Pinar venne portato a Lampedusa. Dopo la vicenda del mercantile turco, Maroni stabilì l’accordo con la Libia per i respingimenti in mare.
La rappresentazione di stasera, organizzata dal Centro Astalli ai Benedettini, è una nuova versione. La Porta della vita, infatti, è stato realizzato per la prima volta nel giugno del 2009 a Lampedusa in occasione della consegna della cittadinanza onoraria dell’isola a Francesco Viviano e a Laura Boldrini, la portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Fino allo scorso aprile accanto al compositore/percussionista, Dario Sulis, c’era Filippo Luna. A Catania sarà il debutto ufficiale dell’attore Massimiliano Geraci. Inoltre, uno studio approfondito sul Museo dell’Imigrazione di Ellis Island ha portato gli autori a creare un parallelo fra gli sbarchi dei siciliani a New York e quelli dei migranti di Lampedusa.
Step1 ha intervistato i tre artefici dello spettacolo.
Come è nata l’idea di portare sulla scena il reportage di Francesco Viviano?
(Maria Elena Vittorietti) «L’idea nasce solo dalla voglia di raccontare, di far conoscere, di gridare più forte possibile ciò che affrontano tutte quelli che noi banalmente abbiamo etichettato come clandestini, ma sono uomini, donne e bambini che stanno solo cercando un posto migliore per la propria vita. Ho seguito da vicino la vicenda del Pinar per amicizia con Francesco Viviano, uno dei migliori reporter d’Italia, e per coinvolgimento personale. Francesco più volte ha raccontato le vicende strazianti dei migranti, ma non standosene a casa a leggere agenzie, bensì andando sul posto. Salendo da clandestino sulle navi, come in occasione della vicenda Cap Anamur».
In che senso La porta della vita è un viaggio all’interno di un viaggio?
(Maria Elena Vittorietti) «La porta della vita è il viaggio all’interno della nostra coscienza. Un viaggio ha quasi sempre un’andata e un ritorno. I protagonisti di queste storie, tutte vere, intraprendono un viaggio sperando che abbia un senso, un viaggio che non ritorni, e mettono in gioco tutto senza sapere se approderanno».
Come viene messo in scena questo viaggio?
(Maria Elena Vittorietti) «In uno spazio scenico nudo le immagini, che sovrastano lo spettatore, sottolineano le parole dei protagonisti, le loro emozioni, le loro speranze; e si compone il viaggio senza bisogno di nulla, nella totale essenzialità dello spazio scenico con solo l’eco delle percussioni a scandire questa danza di morte».
La colonna sonora è composta ed eseguita dal vivo. Qual è il suo ruolo?
(Dario Sulis) «La colonna sonora è ciò che incornicia il testo. Scandisce i tempi, acuisce la drammaticità, crea leggerezza, dona intensità. Insomma, l’ho composta basandomi sulle parole, sulle emozioni che ho provato e che continuo a provare ogni sera in scena. La musica ha il suo modo di narrare e in questo spettacolo racconta in note la mestizia, la nostalgia, la voglia di arrivare, i dubbi, la fine e la speranza. In questa nuova versione, poi, è stata modificata la chiusura musicale ed è davvero struggente».
Quattro storie sono protagoniste dell’opera. Si può dire che quelle quattro storie rappresentano milioni di storie di migranti e che in realtà il filo è unico: la ricerca di una vita migliore?
(Massimiliano Geraci) «Austine, Asik, Florence e il finanziere sono le quattro facce di altrettante vite vissute e sofferte; vite che spesso la cronaca non riesce a restituirci perché concentrata solo sul fatto, sulla notizia. La Porta della vita mostra l’umanità, la verità nascosta, è un invito a riflettere sulle responsabilità che ogni essere umano ha verso l’altro da sé, quello straniero che, se ci riflettessimo davvero, non e così diverso da noi, dai nostri avi. Anche loro sfidarono il mare per cercare un posto migliore alla propria vita, per mandare dei soldi a casa. La Sicilia non può dimenticare. La Sicilia ne ha avuto benefici; oggi perché l’Italia, l’Europa tratta così questi uomini? Gente che è disposta a sopportare torture, abusi, ad attraversare in mare pur non sapendo nuotare, persone che hanno avuto solo il torto di nascere in posti disperati. Ma perché non vogliamo dare loro una possibilità? L’Europa invecchia, noi abbiamo bisogno di loro, invece non li accogliamo più, li respingiamo sapendo che li manderemo a morte sicura, stabiliamo accordi con i torturatori. In Italia ci sono state quattro grandi migrazioni verso Germania, Francia, America Latina e Usa: ma se non ci avessero accolti? Oggi saremmo naufraghi e disperati».
Come si intrecciano la storia del Pinar e il lato storico della vicenda con quella intima dei protagonisti?
(Maria Elena Vittorietti) «Le loro storie le abbiamo conosciute solo perché il Pinar è approdato. Sono tutte vicende dolorosamente vere e messe agli atti dalle inchieste della procura di Agrigento. Dopo quel viaggio, l’armatore ha mandato in disarmo il Pinar; adesso è al porto di Livorno. Il comandante turco non ha più voluto saperne del mare e, traumatizzato dalla vicenda, non è più risalito sul mercantile».
L’immagine che molti hanno dell’immigrato deriva spesso da un’informazione errata e carente. Gli articoli di Viviano e questa opera raccontano storie vere che troppo spesso vengono ignorate. Anche la storia del Pinar non è nota a molti. Qual è il messaggio che rimarrà allo spettatore? Qual è il ruolo dello scrittore e del giornalista rispetto a queste vicende?
(Maria Elena Vittorietti) «La vicenda del Pinar l’ho già narrata. Il ruolo dello scrittore, del giornalista, del teatro è quello di fissare la vicenda, di raccontarla, di divulgare un messaggio forte per far sì che storie come queste non passino inosservate, non vengano dimenticate e scuotano la coscienza di ogni essere umano perché agisca e non viva indifferente. Cosa rimarrà allo spettatore? Noi speriamo la voglia di agire, comunque scoprirà che “il cielo è l’unico tetto che ti protegge sulla rotta verso la Porta della vita”».
Il Centro Astalli è in prima linea nell’assistenza all’immigrato nella nostra città. Il ricavato della serata sarà donato al Centro che lo utilizzerà per sostenere le sue attività. Come è nata questa collaborazione? L’iniziativa verrà ripetuta in altre città?
(Maria Elena Vittorietti) «La collaborazione è nata da una segnalazione del centro Astalli di Roma a cui, grazie al rettore della cappella de La Sapienza e mio insegnante, padre Vincenzo D’Adamo, sono arrivata. Ho proposto questo spettacolo perché conoscevo la loro sensibilità e la loro mobilitazione nei confronti dei migranti. Quello di Catania è il primo centro Astalli con cui lavoriamo, altre città sono in programma ma le date sono in via di definizione».
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