Era l’anno del primo sms inviato attraverso uno smartphone, ma anche della distruzione della biblioteca di Sarajevo. L’anno in cui viene inaugurato il Reina Sofia di Madrid, uno dei musei più importanti al mondo, ma anche quello in cui un Francesco Totti, appena sedicenne, fa il suo debutto in serie A. Era il 1992, un anno destinato a cambiare la storia, il cosiddetto anno delle stragi. È da qui che il giornalista di AntimafiaDuemila Aaron Pettinari decide di partire per il suo esordio letterario: Quel terribile ’92, a cura di Pietro Orsatti. «Si tratta di 25 voci per raccontare questi 25 anni passati da quelle stragi, messe insieme per cercare di ricostruire quell’anno», spiega l’autore, intervenuto alla Feltrinelli di Palermo. Un lavoro corale scritto in appena 26 giorni, che vuole conservare la memoria e, ancor di più, coltivarla, ampliarla. A dettare il ritmo del libro sono le interviste rivolte dall’autore a 25 personaggi diversi: alcuni appartengono al mondo della musica altri del cinema e del teatro, altri provengono dallo sport.
«Pochissimi oggi seguono i processi importanti del tempo presente, da Capaci bis a Borsellino quater, da Mafia capitale a quello sulla trattativa fra Stato e mafia – spiega – Come se ci fosse la volontà di non arrivare mai fino in fondo. Ma se mancano alcune verità, è nostro dovere di cittadini pretenderle». Ripercorrere questi 25 anni inevitabilmente ha portato l’autore a un confronto obbligato con ricordi, sentimenti e stati d’animo, a volte contrastanti. Un viaggio necessario, al di là della memoria: «Potrebbe servire per capire chi siamo e soprattutto come siamo arrivati ad essere, in questi anni, quello che siamo oggi – continua – Resta il fatto che da allora, con quello che è accaduto, abbiamo tutti perso qualcosa».
A prendere parte alla presentazione del libro di Pettinari c’è anche il vice procuratore della Procura di Palermo Vittorio Teresi: «Sono entrato in magistratura nel ’79 e la prima volta che ho indossato la toga è stato per i funerali del procuratore Gaetano Costa», dice prima di commentare i fatti d’attualità. Prima fra tutti la vicenda che riguarda i racconti del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, intercettato per quasi un anno nel carcere di Opera durante l’ora d’aria. «Le certezze a me fanno paura – dice Teresi – Oggi ci sono grandi giornalisti convinti che Graviano sapesse di essere intercettato. Io vi chiedo un atto di fiducia: credetemi quando vi dico che abbiamo prove inconfutabili che Graviano non sapesse di essere intercettato, ma ne parlerò nelle sedi opportune». È una precisazione che sente di dover fare, pur non potendo addentrarsi in più chiare spiegazioni.
L’intervento prosegue e i toni si fanno duri. «Ho notato che ultimamente abbiamo una grande quantità di esperti di mafia, è una cosa buona. Mi preoccupa piuttosto la scarsezza degli esperti di antimafia – sottolinea – Non se ne fa a sufficienza solo conoscendo il fenomeno, bisogna fare un passo avanti e capire quali sono gli antipodi in tutti i settori, capirne i rimedi. E questo discorso vale anche in ambiente giudiziario: non siamo in tanti a essere esperti di antimafia, e scusate l’immodestia». Gli fa eco anche Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso da Cosa nostra nella strage di via D’Amelio, intervenuto telefonicamente alla presentazione: «La memoria non è il ricordo cristallizzato, è una lotta che si combatte a 360 gradi e tutti i giorni, malgrado la spettacolarizzazione di cui è vittima oggi», dice, riscuotendo subito i consensi della sala. Ma gli applausi lasciano il posto a una conclusione amara: «La mafia è un tumore che si è prima localizzato e che ormai ha prodotto troppe metastasi. Non esiste regione che oggi gli sia indenne, prendiamone atto».
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