Quel ragazzo poteva essere mio figlio

Mio figlio ha 15 anni e venerdì sera era ad un concerto sulla 57 st e 10 Avenue. Voleva a tutti costi tornare a casa con la subway: “Tutti i miei compagni torneranno così, please!”. “Forget it”, perentoria mia moglie, “o ti viene a prendere papà o niente concerto”. “But it’s embarrassing”, si lamentava Louis, forse senza aver tutti i torti. Niente da fare, un concerto che finiva a mezzanotte, avrebbe avuto papà fuori ad aspettarlo.

Arrivato al “Terminal 5”, dove si esibivano i “Doctor Dog”, mi guardavo attorno per sondare gli eventuali pericoli che mio figlio avrebbe potuto incontrare se non fossi venuto a prenderlo. In effetti, quella zona di Manhattan era poco illuminata, non c’erano ristoranti aperti come appena a due blocchi di distanza. E poi la metropolitana verso Brooklyn a quell’ora, chissà quanti ubriaconi o tossici… Ho fatto bene a prenderlo pensavo, anche se mi risuonava il suo “è così imbarazzante”, perché lo sarebbe stato anche per me, che alla sua età in vespino andavo a fare il bagno di notte a Mondello…

Mentre aspettavo in macchina, alla radio un programma della Npr commentava la reazione del Presidente Obama alla morte del teenager Trayvon Martin, di due anni appena più grande di mio figlio, ucciso un mese fa in Florida da un vigilante volontario dentro una zona residenziale “gated” (chiusa), che l’avrebbe scambiato per un aggressore. Incredibilmente, la tragica morte di Trayvon, un ragazzo afroamericano incensurato che si vede in foto nella sua divisa di football, non aveva portato ad un arresto e l’indagine era stata chiusa dalla polizia. Il giovane “vigilante volontario” che gli aveva sparato perché si sarebbe sentito minacciato da Trayvon. Dopo un tam tam via internet, la protesta si era diffusa e giovedì c’era stata una grande manifestazione dove avevano partecipato anche i genitori del povero Trayvon.

Ecco quindi, venerdì, la prima reazione sull’incidente del Presidente Obama: “If I had a son, he’d look like Trayvon”.

Con meno di dieci parole, il capo della Casa Bianca indicava come il colore della pelle di un uomo possa ancora in America fare la differenza tra la vita e la morte. Obama, il primo presidente afroamericano della storia, ha cercato così di scuotere gli Stati Uniti che, chi scrive spera, dovrebbero rieleggerlo.

Già, quel ragazzo colpito poteva assomigliare ad un figlio del presidente degli Stati Uniti. Mentre aspettavo mio figlio, vedevo tanti altri ragazzi di tanti colori che uscivano dal concerto, e mi sentivo in colpa. Quel figlio di siciliani (mia moglie è americana da tre generazioni ma nelle vene le scorre più sangue siculo di me) nel 2012 era “bianco”, e non doveva temere di essere aggredito perché percepito come “aggressore” per il colore della sua pelle. Già, “ora” mio figlio è bianco ma cento anni fa sarebbe stato considerato “colored”. Ricordate? Il linciaggio più grande della storia degli Stati Uniti è avvenuto a New Orleans nel 1891, ad essere impiccati dalla folla furono nove siciliani accusati di essere tutti mafiosi…

Prima di tornare a vivere a NYC, i mie figli stavano crescendo nell’Hudson Valley, in un bellissimo paesino sul fiume. Ma la prima volta che vennero a trovarci i miei, mio padre esclamò: “Hai scelto un bellissimo posto, ma perché vedo solo bianchi?”. E poi la battuta: “Ma forse il sindaco di Cornwall fa la multa ai neri se si fanno una passeggiata da queste parti?”. Anche quella battuta aiutò ad accelerare il nostro ritorno per far crescere i figli a New York, la città più multietnica del mondo.

Obama da Presidente aveva finora cercato di evitare il tema del razzismo in America, ma crediamo che debba insistere, anzi proprio lui ha il dovere di raccontare le mortificazioni e i pericoli che da ragazzo anche il futuro presidente degli Stati Uniti aveva dovuto subire. Trayvon poteva essere il figlio di Obama perché anche il giovane Barack avrebbe potuto fare la stessa fine! Che la tragedia di Trayvon possa servire a non far dimenticare che “Change” in America significa anche questo.

 

Stefano Vaccara

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