Quei rifiuti spaziali che orbitano attorno alla Terra

SONO I PRODOTTI DELLE TANTE MISSIONI INIZIATE DALL’UOMO NEL 1957. OGGI SI SCOPRE CHE QUESTO ROTTAMI COSMICI POTREBBERO CREARE SERI PROBLEMI LEGATI A POSSIBILI COLLISIONI

Ogni tanto si parla delle “isole” di rifiuti, grandi come continenti, che vagano per gli oceani. E di come non si stia facendo nulla per risolvere la questione.

Ma il problema dei rifiuti sparsi dall’uomo pare che non riguardi solo gli oceani o i mari. Sembra che stia diventando rilevante anche nello spazio.

Da quando è cominciata l’avventura dell’uomo nello spazio (nel 1957, quando l’Unione Sovietica lanciò lo Sputnik) sono stati messi in orbita oltre 4.000 satelliti. A questi vanno sommate decine e decine di “missioni” spaziali. Ebbene, nessuna di queste missioni è stata ad “impatto zero”. Tutte hanno lasciato tracce di sé, una sorta di “spazzatura” che orbita intorno alla Terra.

Si stima che centinaia di milioni di detriti spaziali ruotino intorno alla Terra. Alcuni quasi invisibili, altri grandi come camion, come il satellite Envisat Earth, spento nel 2013 e lasciato vagare a 782 km di altezza con le sue otto tonnellate di peso. Rifiuti tutti prodotti dall’uomo.

Tra i rifiuti spaziali si trovano oggetti “antichi” come quello che è stato fregiato del titolo di “più vecchio detrito ancora in orbita” vale a dire il satellite Vanguard I, lanciato dagli Stati Uniti d’America nel 1958. Oggetti a volte famosi, come il guanto che un astronauta del Gemini 4 perse durante la prima passeggiata nello spazio o come la macchina fotografica perduta da Michael Collins durante la missione Gemini 10. Altre volte semplicemente pezzi di satelliti che, giunti al termine della loro “vita”, vengono abbandonati intorno al nostro pianeta. Tutti oggetti estremamente pericolosi.

Qualche anno fa un satellite americano attivo andò a sbattere contro un altro satellite (il Cosmos-2251) ormai fuori servizio e abbandonato nello spazio. Lo scontro causò la formazione di una nuvola di 2.000 detriti metallici. Anche il famoso telescopio Hubble tra poco potrebbe entrare a far parte dei “rifiuti spaziali” (si pensa di farlo cadere in mare con un rientro controllato da terra).

Anche la Stazione Spaziale Internazionale, pare abbia rischiato grosso quando, qualche mese fa, è stata mancata di pochi metri da un rottame cosmico che viaggiava a 7,5 km al secondo. In caso di impatto, la Stazione sarebbe andata distrutta. Non a caso l’equipaggio fu evacuato nelle capsule Soyuz di emergenza.

Come nel caso delle isole di plastica sugli Oceani (e, più di recente, nel Mediterraneo), il problema è che la quantità di “spazzatura spaziale” ha ormai raggiunto dimensioni tali da rappresentare un serio rischio per la navigazione. Secondo uno studio dell’Agenzia Spaziale Europea, solo la rimozione di almeno una decina di frammenti di grandi dimensioni all’anno potrebbe impedire che la situazione peggiori ulteriormente.

L’unica vera differenza tra le montagne di spazzatura che stanno ricoprendo gli oceani e quelle che orbitano intorno alla Terra è che queste ultime mettono seriamente a rischio gli investimenti e gli interessi economici (in termini di comunicazioni, sicurezza e molto altro) per molti Stati. Per questo motivo, mentre le organizzazioni internazionali e i singoli Paesi fingono di non vedere le isole di plastica che galleggiano sui mari, invece sono in molti che si stanno muovendo per trovare soluzioni le più stravaganti per risolvere il problema della “spazzatura spaziale”.

Secondo il direttore della Eos, Ben Greene, la Nasa e tutte le maggiori agenzie spaziali ritengono che vi sia un “ragionevole rischio” che entro i prossimi 15 anni si verifichi lo scenario più pessimistico, in cui un rifiuto spaziale distrugga un satellite creando una serie di collisioni concatenate con conseguenze gravi per tutti o, almeno, per la maggior parte dei i satelliti in orbita: meteorologici, di comunicazioni, di navigazione o di intelligence. È per questo che la Eos lavora da anni ad un sistema di “pulizia” orbitale.

Alvar Saenz-Otero, ricercatore nel Dipartimento di Aeronautica e Astronautica del MIT, ha detto: “Ci sono migliaia di pezzi di satelliti nello spazio. Si potrebbero raccogliere con una navicella spaziale gigante, ma certo costerebbe davvero troppo. Se invece si invia in orbita un piccolo veicolo spaziale e si arpiona un oggetto che ruota ad alte velocità, anche la navicella comincerà a perdere la stabilità”.

Per questo motivo il primo passo è stato creare una rete di sorveglianza per la sorveglianza dei detriti. Lo ha fatto il Comando Aerospaziale Americano (USSPACECOM), con lo Space Surveillance Network (SSN), che unisce 25 siti di osservazione nel mondo (il centro operativo si trova al Centro di Controllo Spaziale di Cheyenne Mountain, Colorado). I ricercatori del MIT recentemente hanno anche creato di definire un nuovo algoritmo per analizzare la rotazione degli oggetti interno alla Terra e prevederne così gli spostamenti.

Anche gli australiani sono scesi in campo: una ditta di Canberra, specializzata in sistemi di tracking ottico e laser, ha firmato un accordo con la Lockheed Martin, il gigante della difesa americano, per sviluppare una rete di monitoraggio dei rifiuti spaziali che orbitano attorno alla Terra. L’australiana Electro-Optic Systems attiverà un sistema globale di sensori.

Ma c’è chi è andato oltre e invece di limitarsi a selezionare e monitorare i rifiuti, sta studiando il modo di rimuoverli. L’Agenzia di Esplorazione Aerospaziale Giapponese (Jaxa) sta costruendo un satellite dotato di una rete elettromagnetica in grado di “imprigionare” i rifiuti spaziali. E, nei giorni scorsi, i tecnici dei laboratori dell’École Polytechnique Fédérale di Losanna in Svizzera hanno proposto la loro soluzione al problema: un satellite spazzino, chiamato CleanSpace One, che avrà il compito di intercettare i rifiuti in orbita, agganciarli e dirottarli verso la Terra. In questo modo, entrando in contatto con l’atmosfera, si distruggeranno in migliaia di minuscole particelle, non più pericolose.

Il vero problema è che, mentre tutti i maggiori centri di ricerca aerospaziale del pianeta, le maggiori università e un numero considerevole di aziende danno da fare per rimuovere la “spazzatura” che le missioni spaziali hanno sparso intorno alla Terra, nessuno pensa a risolvere il problema del mare di plastica che sta ricoprendo i nostri mari. Ma la presenza di quei rifiuti non pesa sui bilanci di nessuna azienda e quindi, mentre si fanno grandi sforzi per “pulire” lo spazio, non è facile trovare spazzini per pulire gli oceani.

Foto tratta da classmeteo.it

 

 

 

 

 

 

C.Alessandro Mauceri

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