Quattro casi nella Sigonella italiana, molti in quarantena Ma nella parte americana precauzioni sono ancora meno

Dentro la base di Sigonella adesso i casi sono passati da uno a quattro. Due militari e un dipendente civile, tutti italiani e tutti in servizio nella parte gestita dall’aeronautica italiana, e il padre di un altro civile. L’ipotesi più accreditata è che siano collegati a quanto accaduto il 28 febbraio: una festa di pensionamento per salutare un 65enne di Niscemi. Proprio lui è stato il primo contagiato ed è stato accertato che allo stesso evento era presente pure l’altro lavoratore, il cui padre è poi risultato positivo. Il sindacato Siam lancia l’allarme e parla di «un potenziale focolaio». A Sigonella complessivamente lavorano, e in parte vivono, quasi diecimila persone: poco più di duemila nella parte italiana e circa settemila in quella americana. Ma se nella prima sono state prese le misure precauzionali dettate dai decreti governativi, è dal lato statunitense che, nonostante non si registrino ufficialmente contagi, la situazione sembra essere in parte diversa, come raccontano a MeridioNews alcuni testimoni. 

Dopo i quattro casi accertati – di cui due ricoverati: il 65enne di Niscemi e un maresciallo dell’aeronautica che abita a Carlentini e adesso si trova all’ospedale di Siracusa – è scattata la quarantena per diverse decine di dipendenti in servizio nella parte italiana. Non solo per chi ha avuto contatti diretti con i positivi, come impone la normativa. La misura è stata estesa anche ai contatti indiretti. «Il Siam – scrive il sindacato – considera questa situazione grave e potenzialmente pericolosa poiché i due militari positivi sono stati costantemente in contatto con gli uffici e le sale di lavoro ed hanno frequentato l’affollata mensa di Sigonella che verrà irragionevolmente riaperta dopo soli due giorni di chiusura». E chiedono «visite mediche mirate, smart working, dotazioni di protezione individuale, che ancora mancano , la chiusura della mensa e una rimodulazione dell’orario di servizio». 

Secondo il capitano Antonello Calabrese, portavoce dell’aeronautica militare a Sigonella, alcune sono già attive. «Da dieci giorni minimo il 50 per cento dei lavoratori della base lavora in smartworking – spiega a MeridioNews – tra una settimana ci sarà il turnover tra i due gruppi che non si incontreranno. Abbiamo sospeso l’attività addestrativa in volo e facciamo solo quella di ricognizione. All’ingresso viene presa la temperatura e abbiamo distribuito mascherine e altri dispositivi di protezione individuale». 

Inoltre nella parte italiana della base, davanti a casi sospetti, scatta la filiera sanitaria dei controlli comune al resto d’Italia. Vengono cioè coinvolti personale sanitario locale e i tamponi sono effettuati nei laboratori del territorio. Non è così nella zona statunitense. Se un militare americano accusa dei sintomi viene fatto il test nella base e viene inviato in un laboratorio in Germania. Se invece succede a un loro dipendente italiano, bisogna rivolgersi al medico italiano della base. «Ma a Sigonella americana ci sono zero casi», ribadiscono dalla parte Usa. 

Quella dei controlli non è l’unica differenza tra le due aree. Stando a quanto riferiscono a MeridioNews alcuni testimoni, nella Sigonella statunitense continuano a mancare diverse precauzioni. «L’applicazione delle poche misure di contenimento contro il virus – racconta a MeridioNews uno di loro – ad oggi è stata dovuta alla sensibilità dei pochissimi supervisori e dei tanti lavoratori italiani, che si scontra con la passività di quelli americani sopra di loro, giorno dopo giorno. La Marina Usa sta procedendo con molta lentezza nell’attuazione delle direttive dei vari decreti». 

Ai dipendenti non sono state fornite mascherine. Una scelta motivata stamattina in teleconferenza dai vertici della base col fatto che non esiste un obbligo giuridico e che non sarebbe nemmeno consigliato scientificamente. Durante le comunicazioni, il vicecomandante dell’ospedale della base ha mostrato un foglio del ministero della Sanità italiano dove si spiega che le mascherine servono solo a chi è sintomatico oppure a chi lavora in ospedale. Negli Usa l’equivalente del nostro ministero della Salute le sconsiglia. Risultato? Nessuna distribuzione ai dipendenti, chi la indossa se la porta da casa. 

All’ingresso Nas 1, a uso esclusivo statunitense, e a quello dove vivono le famiglie americane, non viene presa la temperatura perché mancherebbero i termometri. La mensa, conosciuta anche come ristorante Bella Etna, rimane in servizio con personale italiano a lavoro. Le scuole interne alla base sono state chiuse solo dal 12 marzo, una settimana dopo rispetto a quanto stabilito dal governo italiano. Alcuni testimoni denunciano pure la lentezza per attuare il telelavoro, ma dalla base statunitense precisano che «da oggi il 57 per cento dei dipendenti italiani lavora da casa, rimane solo il personale indispensabile». 

Salvo Catalano

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