Creatività. Universalmente parola positiva, solare, parola ‘rock’. Pensi a questa sequenza di lettere e ti vengono in mente Michelangelo, Leonardo, artisti e poeti. Eppure se uniamo l’aggettivo ‘creativa’ alla parola ‘architettura’ qualcuno, nel campo scientifico, comincia a storcere il naso. E allora si comincia a pensare a strutture bizzarre, a gusti capricciosi. Forse perché l’architettura è una disciplina al limite, fa parte delle scienze esatte, ma collabora sempre con quelle umane. Perché l’urbanista non è l’ingegnere. E ha bisogno di andare oltre l’apparente aridità di formule, numeri e disegni tecnici.
Di una cosa però siamo certi: che di creatività per cambiare l’urbanistica della nostra città ci sarebbe un immenso bisogno. Ne è certo un gruppo di architetti che ha voluto presentare il volume “Urbanistica creativa”, sottotitolo ‘Progettare l’innovazione nelle città’, curato da Roberto Bobbio (architetto e docente di urbanistica presso l’università di Genova), proprio sotto il vulcano, martedì 3 febbraio presso la Casa della Cultura dell’Università.
Ma cosa vuol dire essere creativo per un architetto impegnato nell’innovazione di una città? “Sono cosciente che il titolo è una provocazione e che può destare sospetti – afferma Bobbio – ma la nostra disciplina lavora molto sulle parole e sulle metafore. È necessario aggiornarsi, anche nei confronti delle altre discipline con cui ci confrontiamo e penso che la creatività sia un modo di ripensare, riformulare, di saper dare forma agli spazi. Qualcosa che d’altronde abbiamo sempre fatto”. Gli fa eco Carmelo Nigrelli, sindaco di Piazza Armerina e urbanista: “Ammetto di essere stato diffidente leggendo il titolo di questo volume, ma alla fine credo che quello che emerge dai saggi è la parte dell’urbanistica che ci piace di più: quella che non si accoda ai processi in corso, non si occupa semplicemente di analizzare e descrivere, ma quella che partecipa ad una visione. E in questo senso l’urbanistica creativa non è una cosa nuova”.
I saggi analizzano i casi di alcune grandi città che hanno subito cambiamenti urbanistici importanti in occasione di grandi eventi: Torino, Genova, Barcellona ma soprattutto Bilbao. Ed è immediato il confronto tra il capoluogo basco e la situazione catanese. “Visto che siamo a Catania a me sembra che la questione dell’urbanistica creativa possa avere un riferimento a questa città – continua Nigrelli. – Negli anni ‘90 Catania, e in qualche modo anche Palermo, hanno vissuto una stagione creativa. Un momento in cui la città ha ripensato se stessa, la sua posizione nello scenario nazionale e mediterraneo, puntando su alcuni di quegli elementi postindustriali, postmoderni come l’alta formazione, la scuola d’eccellenza dell’Università, le industrie ad alta tecnologia, il protagonismo dell’informazione e delle tv, nel campo dell’arte e della musica, e del tempo libero. Fu un’azione che ha dato i suoi frutti e di cui poi si è perso il senso negli ultimi sei, sette anni”.
Numerosi i relatori intervenuti nel dibattito, autori dei saggi che formano il libro, come Giovanna Fossa, docente del Politecnico di Milano o ospiti interessati, come Giuseppe Dato, preside della facoltà di Architettura di Catania, Piera Busacca, docente presso il Dipartimento di Urbanistica e Luigi Fortuna, preside della Facoltà di Ingegneria.
Le città oggetto di analisi hanno saputo sfruttare l’organizzazione di grandi eventi sportivi, culturali o politici per risollevarsi da un momento di crisi profonda. Un fatto eccezionale, quindi, è riuscito ad incidere sulla quotidianità della gente, più di quanto non abbiano fatto gli strumenti tradizionali.
“È implicita la crisi dello strumento tradizionale istituzionale – afferma Giuliano Leone, presidente dell’associazione italiana urbanisti ed ex preside della Facoltà di Architettura di Palermo – ma non per mancanza dello strumento stesso, ma per la mancanza di un’umanità dietro che si interroga attraverso questo strumento. La comunità è un interlocutore troppo diffuso, troppo generico per essere veramente un interlocutore. I casi rappresentati non hanno nulla a che vedere con i piani strategici. Nascono da una comunità, fatta naturalmente da persone che tirano di più e altre che vanno dietro, che ha bisogno di riposizionarsi, di trovare altre collocazioni nel territorio in cui vive. È questo il nodo fondamentale del libro e il messaggio nuovo”.
La nuova Bilbao, quella universalmente conosciuta per il Guggenheim, dove si prende il nuovo tram (l’EuskoTran) per il piacere di godersi gli angoli più belli della città seduti comodamente su un mezzo, per la sua facilità e la sua funzionalità, non nasce da un piano strategico ma da un dramma. “Bilbao ha avuto la sfortuna di subire per anni l’impatto tremendo dell’industria, del porto – racconta Francesco Martinico, docente presso il nostro Ateneo e coautore di uno dei saggi – Nel momento di crisi, in cui il porto non serviva più, si è creato un ampio spazio vuoto. Lì c’è stato il grande intervento che tutti conoscono per la parte (il Guggenheim) e non per il tutto. Noi possiamo usare questo caso per riflettere. Una serie di elementi di crisi drammatica sono stati trasformati in fattore positivo: ambiente e trasporti sono stati due perni di questa strategia. Anche Catania ha una disgrazia: cinquant’anni di mancata pianificazione che ha prodotto quella marmellata urbana che la affligge. Da questo dato bisogna ripartire”.
In conclusione è l’assessore all’urbanistica del comune di Catania, il professor Luigi Arcidiacono, a lanciare una promessa: “L’incarico offertomi l’ho visto come messaggio di speranza per Catania, che è in credito di un piano regolatore che manca da troppo. Questo sarà realizzato, anche in collaborazione con la facoltà di Architettura, perché l’amministrazione lo desidera fortemente”.
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