Quante facce ha Catania?
Me lo chiedo spesso, e me lo sono chiesto questa sera tornando dalla capitale dopo 20 giorni.
C’è la Catania croce e delizia di via Plebiscito che incontro subito appena arrivo: sempre sporca, caotica, affascinante e repellente, la doppia fila imperante, le macchinone che sfrecciano e i poveri cristi che camminano, i bar con sempre gente dentro e le baracche abusive che vendono frutta, verdura e altro sempre aperte, anche di domenica, anche di sera.
Catania umiliata e umiliante, violenta e violentata. Gli sguardi pietrificanti della via Plebiscito sintetizzano umori e amori di una città abbandonata a se stessa e per questo senza speranza, con la voglia autolesionista del narciso insaziabile. Dicono che sono anni che un vigile non fa una multa a via Plebiscito. Io nell’ultimo di anno, non l’ho manco visto un vigile da queste parti. Neanche visto. Catania così lontana e vicina così fredda e infuocata nella pietra lavica che qui cova e rende pazzi.
Catania multietnica che accoglie le sue puttane straniere perchè lei per prima si prostiuisce per poco, nulla, un voto o un telefonino. Catania puttana accogliente. C’è quella casa dalle mie parti piena stracolma al balcone: perchè dentro fa caldo. In 6 in una stanza si sta male.
C’è Catania qui che pulsa affamata che al ritmo tribale e metropolitano scalpita. Il caldo si sa non aiuta certo.
Catania rifatta, impomatata e ovattata è lontana da qui. C’è e profuma di plastica, di fiori ornati sintetici è una Catania chirurgicamente viva. Artificialmente sensibile, tecnologicamente truccata, ridondande nelle sua viziosità nel suo credersi città, anch’essa si specchia nei suoi cellullari con telecamera ultimo tipo da qualche migliaia di pixel. Estetica di un ologramma. Questa catania c’è e profuma di plastica.
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