Quando l’umanità è un peso

Chi sperava che il nuovo film di Nanni Moretti sarebbe stato il musical del pasticcere trotzkista ambientato nell’Italia degli anni ’50 di cui si parla in “Caro Diario”, rimarrà deluso. Sin dalle prime indiscrezioni sulla trama, si era intuito che “Habemus Papam” era un progetto diverso, per certi versi inaspettato, in un momento in cui la deriva del Caimano rendeva favorevole una nuova stoccata del regista che già anni prima ne aveva predetto le gesta. Niente di tutto questo: il nuovo misterioso film di Moretti parlerà del Papa. Sarà quindi una pellicola contro Ratzinger? No. Un film sulla fede? Neppure. Come dichiara lo stesso protagonista del film, la fede non c’entra niente, non viene mai minimamente toccata, è l’unico punto saldo nella psiche scombussolata di un neoeletto, nevrotico e fragile Papa. L’intuizione alla base del film sta proprio in questo particolare semplice e al tempo stesso geniale: il Papa è un essere umano. Uno come noi, come tutti, che nel suo passato ha sofferto, subito traumi, delusioni, che tutt’ora vive di incertezze e angosce. E soprattutto, chi ha stabilito che il ruolo del pontefice sia un privilegio? E se fosse una condanna? Un peso che nessuno vorrebbe sostenere?

Negare la natura umana di un uomo, anche se costui è il Sommo Pontefice, è di per sé irragionevole, ed anche il più incallito dei fedeli non può ignorarlo. Eppure, la campagna di boicottaggio apparsa su “L’Avvenire” e la denuncia del sito “Pontifex” contro Moretti e il produttore Domenico Procacci la dicono lunga su quanto sia difficile per molti uomini di Chiesa riconoscere in primo luogo il loro status di “uomini”. “Habemus papam” parla essenzialmente di questo, di un uomo che dovrebbe fare il Papa e non vuole, che fugge dalle proprie responsabilità e regredisce a livello di un bambino che marina la scuola. Il Papa di Moretti non compie nessun percorso di crescita o di redenzione, non risale al nocciolo del suo conflitto interiore grazie alla psicanalisi o alla fede, semplicemente decide di girovagare alla scoperta di una Roma descritta come solo Moretti sa fare: assorta, silenziosa. E mentre il Papa fuggiasco riscopre l’amore per il teatro, la finzione scenica, con un parallelo sottinteso con il ruolo che ha sempre ricoperto, e che forse era solo il ripiego per una carriera da attore negata, il mondo della Chiesa si chiude a riccio, si barrica e “sequestra” il povero psicanalista Moretti che vagabonda, anche lui, per le stanze vaticane e le demolisce dall’interno come solo lui sa fare, tra partite a carte e tornei internazionali di pallavolo con i cardinali usati come atleti. Ma non c’è mai una volontà dissacrante in tutto ciò, né spietata o eccessivamente polemica: il suo è lo sguardo di un ateo dichiarato che amabilmente osserva quei cardinali e li vede per quello che sono realmente, e in un certo senso li scuote, li sveglia dal torpore in cui la Chiesa sembra ormai essersi assorta, lontana com’è dal mondo che la circonda, dalla realtà.

E forse il vero punto debole del film è proprio questo: la mancanza di un contesto reale, che forse sarebbe sembrato troppo fuori luogo, incastonato a forza in uno scenario che di per sé è lontano dalla vita vera. Eppure, durante il film, lo spettatore si aspetta sempre una frecciata di Moretti sul panorama politico attuale, e magari qualche riferimento ai legami tra politica e clero o una bella tirata contro l’incapacità della Chiesa di saper condannare i politici che spudoratamente peccano e al tempo stesso difendono i valori cattolici. Nulla di tutto questo. Se si volesse leggere tra le righe, la storia di questo Papa che si sente inadeguato al suo ruolo, che dovrebbe rifiutare ma non gli è concesso farlo, potrebbe nascondere un messaggio sottinteso contro quei politici che assumono ruoli vitali per la nostra società pur non essendone all’altezza, sui potenti della nostra epoca che si ritrovano catapultati in contesti troppo grandi per loro, che non possono reggere senza volerlo ammettere. Tuttavia, questa interpretazione suona più come una forzatura nei confronti di un film semplice, che vuole raccontare la storia di un uomo semplice, nonostante la sua carica, il suo potere. E inoltre, è una forzatura che darebbe adito a quanti criticano quel “girotondino” di Moretti che parla sempre (e male) di Berlusconi, anche se Moretti ha cominciato a fare cinema quando Berlusconi si occupava di case e tv.

Ma questa è un’altra storia.

Roberto Zito

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