Quando i rifiuti diventano oro La mafia che puzza e uccide bambini

Le mafie sono senza ombra di dubbio alcune tra le organizzazioni più efficienti nel racimolare profitti. Sono capaci di modificare il loro modus operandi e trovare nuove fonti di guadagno con una rapidità da far invidia ai consigli d’amministrazione delle più grandi multinazionali (il libro La Mafia Imprenditrice di Pino Arlacchi offre una buona panoramica sul tema). Sono veri e propri virus con un’abilità di mutarsi e adattarsi spesso ben al di sopra del sistema immunitario della nostra società.

Un’ultima conferma di queste tristi affermazioni viene proprio dalla Sicilia, più precisamente dalla bocca del procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che fu uno dei più giovani membri dello storico pool antimafia di Palermo diretto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Lo scorso lunedì il capo del mandamento mafioso di San Lorenzo, Giuseppe Liga, è stato accusato assieme ad Amedeo Sorvillo e Agostino Carollo di reati contro l’ambiente. La loro ditta, la Euteco, interrava in discariche abusive profonde dai sette ai dieci metri rifiuti speciali e tossici. Seppelliva batterie al piombo esauste, filtri industriali intrisi di materiali chimici, terre e rocce da scavo. Avvelenava le campagne della provincia di Palermo per una ragione semplice, logica, ovvia: far pagare ai loro clienti il prezzo più basso per il servizio offerto. Si chiama business, amico.

Un qualsiasi studente universitario che abbia sostenuto un esame di microeconomia si accorgerebbe che il ragionamento del boss Liga non fa una piega. La sua è un’azienda che smaltisce rifiuti. Come ogni altra azienda, lo scopo è tentare di massimizzare i profitti e battere la concorrenza. I profitti aumentano se aumenta la clientela, e la clientela aumenta se il prezzo del servizio offerto è minore di quello dei concorrenti. Abbattere i prezzi, quindi, deve essere il mantra. Ma quale strategia adottare?

Tagliare i costi dello smaltimento dei rifiuti speciali e tossici è la soluzione dell’equazione. Gli scarti speciali comportano costi elevati, devono essere trattati in modo tale da non essere più dannosi per la salute umana e per l’ecosistema. Ma ai mafiosi (e manager?) Liga, Sorvillo e Carollo di questo non fregava proprio niente. Gettarli come se niente fosse in un immondezzaio illegale la notte attrae i clienti, i prezzi sono ridicoli, si risparmia. E forse i colpevoli non sono solo gli arrestati. Viene da chiedersi che responsabilità abbia chi richiedeva i servizi della Euteco. In economia, in fondo, quando qualcosa è esageratamente conveniente, spesso c’è qualcosa sotto. Come in un patto col diavolo.

Questa si chiama ecomafia. Sebbene sia la prima volta che un’indagine la “scopra” ufficialmente in Sicilia, il fenomeno è ben conosciuto in regioni come la Campania, la Puglia e la Lombardia da almeno vent’anni. Solo con gli sforzi di Legambiente, che ha fondato nel 1994 l’Osservatorio ambiente e legalità, è cominciato uno studio sistematico per capire le dimensioni e la gravità del fenomeno, e solo nel 1997 un pubblico più vasto ne è venuto a conoscenza, con la pubblicazione del primo rapporto ecomafia dell’istituto.

Il rapporto è ormai pubblicato ogni anno. Leggere i dati relativi al 2010 mette quasi i brividi. Ci sono 290 clan attivi nel business. Ben 82.181 tir pieni di rifuti hanno cavalcato le strade italiane. Equivalgono a 1.117 chilometri. I reati accertati ammontano 30.824, e tra le persone coinvolte ci sono imprenditori, ingegneri, amministratori pubblici. Il fatturato è di 19,3 miliardi di euro. Per capirci, è poco meno delle entrate della Kellogg, esattamente quanto fattura la Adobe, più della Motorola.

E mentre nella terra di iniettano sostanze tossiche, la gente muore, silenziosamente. Gli elementi prima o poi arrivano fino alle falde acquifere, che forniscono l’acqua alle persone e agli animali di cui ci si ciba. Latte, formaggi, burro diventano insicuri. Si contamina (come se già non lo fosse, per altre ragioni) anche l’aria che si respira per andare all’università o al lavoro. Sono pochissimi e incompleti gli studi a riguardo, ma una ricerca della Protezione Civile ha stimato che nel 2002 in Campania la mortalità per cause relative all’eco-crimine è aumentata dell’1%, i tumori ai polmoni del 2%, per gli uomini, quelli al fegato del 7% per le donne. Sembrano piccoli cambiamenti, ma in realtà implicano centinaia di casi in più della norma.

L’ecomafia sta uccidendo perfino le generazioni future. Sempre in Campania, soprattutto nell’area a nord-est della provincia di Napoli (il cosidetto triangolo della morte Acerra-Nola-Marigliano) e a sud-ovest della provincia di Caserta, è aumentato il numero di neonati con malformazioni al sistema nervoso (dell’8%) e all’apparato uro-genitale (del 14%). Sono cifre che nascondono tragedie e grida di intere famiglie, pianti per bambini a cui il diritto alla vita è stato tolto. E non c’entra Dio, né il caso.

E’ solo business.

 

[Foto di Hect]

Stefano Gurciullo

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