E’ una novella lolita della vita, Arianna la protagonista del libro, sposata e con tre figli, con un’occupazione (ci tiene a non definirlo «lavoro») che la porta a viaggiare. Ma la felicità lei si convince di averla trovata solo su internet, attraverso lo strumento della chat, incontrando un fantomatico Riccardo, una sorta di spia alla James Bond di cui non saprà mai abbastanza per poter dire di conoscerlo. Follemente innamorata subisce una metamorfosi. Ma è innamorata di lui o dell’emozione che rappresenta? Tra realtà e sogno, dunque, si mescola una ricerca gustosa di se stessa, tra i meandri del proprio “Io”, per riscoprire e ridefinire la propria anima che si scontra con il Minotauro, ovvero con il vuoto interiore.
Stiamo parlando del romanzo “Arianna e il Minotauro”, scritto dalla catanese Donatella Polizzi e presentato sabato all’Orto Botanico di Catania. Un romanzo di cui l’attrice Stefania Giulian ha letto alcuni stralci: “Svegliarsi una mattina, guardarsi allo specchio e non vedere più gli occhi, o meglio: non scorgere che le mandorle bianche e nessun altro colore”. Svegliarsi e scoprire di avere desideri inabissati. Svegliarsi con la voglia di riesaminare le proprie problematiche e in qualche modo di riprogrammarsi. Sarà l’anima che se n’è andata? E possibile che uno non se ne accorga? Ma la si potrà mai ritrovare? E dove, se non nella realtà virtuale? Questi sono alcuni dei tanti quesiti che si pone la labirintica Arianna, e non solo lei: infatti il libro è impregnato dei «pensieri di tanti uomini e donne ordinari» che fanno delle chat e dei social network una filosofia di vita, una necessità indispensabile.
«Questo è un romanzo forte – dice il sociologo e giornalista Francesco Pira, docente dell’Università di Udine – che si basa sulla grande noia di Arianna», la quale si sente felice, per esempio la notte di Capodanno, soltanto all’arrivo sul suo cellulare di un messaggio dello sconosciuto Riccardo. «Ciò accade perché questa lei, come tante altre, ha raccolto il cambiamento del sistema di comunicazione col quale si ha il bisogno di far sapere ciò che si fa o ciò che si è soprattutto a chi non si conosce, e che per questo non ci giudica. Non subito perlomeno›»
Viene da chiedersi quanto durerà questo desiderabile mistero? «Non importa, Arianna intanto si diverte» continua Pira. «Nel suo essere profumiera, che promette ma non dà nulla, lei perde il filo per ritrovarlo» aggiunge la Polizzi (due lauree tra la California e Catania e fin da giovanissima appassionata di fotografia), soddisfatta della sua creatura la cui genesi affonda le radici in quattro elementi: di tipo estetico («la copertina del disco di Cocciante “Bella senz’anima”, ritrovata in un casetto, raffigurante una donna senz’occhi»); di tipo intimistico («la certezza che possedere un blog, ovvero un diario su internet, aiuta a vincere la solitudine e permette agli altri di compenetrarsi, anche se virtualmente, con le nostre gioie e i nostri problemi»); di tipo romantico («il pensare allo strumento della chat come l’erede del progenitore “messaggio nella bottiglia”»); e di tipo pratico («l’aver incontrato una segretaria che per solitudine chattava in modo esasperato»).
Un’Arianna non siciliana, ma «”universale”, che cerca di uscire dagli schemi del provincialismo, che si perde e poi si trova». Nell’amore? «Certo, ma anche nella passione», rileva Pira che poi incalza dicendo: «C’è la morte, nel romanzo, della vecchia Arianna alle prese con il vuoto della sua anima e c’è l’Arianna rinata, per cui vale la pena tifare, che sa trovare il punto di equilibrio». Che poi questo equilibrio lo si trovi non è detto, dato che non tutti sanno essere ragionevoli. In ogni caso, conclude Pira, si tratta di «una storia completa, audace, di un’Arianna che ha saputo ridisegnare la propria vita attraverso le nuove tecnologie».
Di altro parere è invece Elvira Seminara, giornalista e scrittrice nonché docente dell’Università di Catania, che fa le pulci non al libro «scorrevole e godibile», bensì alle Arianne in sé: «Arianna di Polizzi è un po’ come Emma Bovary di Flaubert che si cibava di parole e che sognava attraverso l’amore l’escalation personale. Arianna è un’Emma in rete che nella bulimia delle parole narcisistiche si perde e non ritrova se stessa. Tutt’altro: la protagonista soccombe in un modello di “Io regressivo” tipico da “bambina” che non sa né liberarsi del rapporto matrimoniale che la fa soffrire – rapporto che preferisce più evocare che descrivere – né iniziarne un altro vero e concreto. I figli, il marito, non li tocca, e la chat diventa, in realtà, un altro modo per non toccare il mondo. Una donna bambina per la quale (anche se ci cammina accanto tutti i giorni e se a volte potrebbe guizzare sotto la nostra pelle) noi non dovremmo tifare. Sperando che non si moltiplichino queste Arianne e Arianni perché dove non c’è realtà non c’è corpo sociale».
Il libro, che secondo Pira «è un viaggio tra amore e follia», è dunque per la Seminara « un viaggio nella “banalità del male” che ci suggerisce di scannerizzare il pensiero con un efficace antivirus».
Infine prende la parola lo psicologo Ferdinando Testa, secondo cui Arianna è una donna ingabbiata tra il volere e il potere, che non sa o non vuole scegliere; che cerca le emozioni, perché noi tutti siamo cavalcati dalle emozioni, ma non riesce poi a passare ai sentimenti: e questo è il suo limite. «Un limite di molti, perché una vera relazione presuppone tempo, pazienza, equilibrio come la relazione che si instaura, per usare una metafora, tra un lettore e un suo libro: che apre, legge, sottolinea, posa sul comodino, ne sente l’odore, che poi ri-apre, ri-legge e ri-sottolinea…».
Risposte univoche, dunque, non ce ne sono, né tantomeno si può pensare di trovarle alla fine della lettura del libro. Diciamo che ogni Arianna/o vive la sua particolare ricerca del filo…
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