Puntorno, gli affari in Sicilia dell’ex capo ultrà della Juve Cosa Nostra agrigentina puntava su di lui: «È uno grosso»

«Lui è un soggetto grosso, che ha appoggi. Anche se è senza soldi, gli danno qualsiasi cosa». Dai sodali del gruppo agrigentino di Cosa Nostra Andrea Puntorno era visto così. Uno da «tenersi stretto» e su cui fare affidamento. Il primo a saperlo bene era Antonio Massimino, considerato dagli inquirenti il nuovo reggente della mafia tra Agrigento e Villaseta. Per far arrivare la droga in questa fetta di Sicilia occidentale, Massimino avrebbe puntato proprio su Puntorno che è riuscito ad aprire un canale di approvvigionamento con la Calabria, in particolare con soggetti della cosca Accorinti di Vibo Valentia. Puntorno con la ‘ndrangheta ha già avuto a che fare a Torino, dove per anni ha ricoperto il ruolo di leader del gruppo ultras della Juventus Bravi Ragazzi, oggi non più presente in curva.

Bagarinaggio, facendo la cresta su pacchetti di biglietti, e narcotraffico: questi sarebbero stati gli affari principali nel capoluogo piemontese. «So che mio marito riusciva a guadagnare anche 30.000 euro nelle partite più importanti», ha fatto mettere a verbale la convivente di Puntorno, Patrizia Fiorillo, parlando con i magistrati torinesi che indagavano su un’estorsione ai suoi danni da parte di altri ultras legati alla malavita che pretendevano da lei soldi dopo l’arresto di Puntorno. Il curriculum giudiziario dell’ex leader dei Bravi Ragazzi è ricco: per il giudice delle indagini preliminari di Palermo che ne ha ordinato il nuovo arresto nell’ambito dell’operazione di oggi, «è un soggetto di elevatissima pericolosità sociale». Pluripregiudicato per reati in materia di droga per cui ha riportato quattro condanne definitive per un totale di 14 anni di carcere e destinatario di due provvedimenti di sorveglianza speciale emessi dal Tribunale di Agrigento e da quello di Torino. 

Tornato ad Agrigento, dove gestisce il bar Black and White insieme al fidato (e pure lui arrestato oggi) Bruno Di Maria, Puntorno riprende rapporti di affari con Antonio Massimino, secondo gli inquirenti il numero uno di una mafia che oggi il capo della Dia ha definito «rozza, cinica e aggressiva, come quella degli anni ’80». I due d’altronde sono pure parenti. La sorella dell’ex ultrà ha infatti sposato il fratello di Massimino, tanto che il presunto boss più volte lo indica come «mio cugino Andrea». Puntorno, secondo gli inquirenti, garantisce quindi al clan l’arrivo della droga dalla Calabria (marijuana, hashish ma pure ketamina, droga usata solitamente per dopare i cavalli e invece venduta nel tradizionale mercato), ospita a casa sua gli emissari della cosca Accorinti di Vibo Valentia (Domenico Mandaradoni, Gregorio Niglia e Francesco Romano, pure loro arrestati oggi), svolge la funzione di broker e garante dei pagamenti. Tanto che, quando un carico di droga viene fermato a un controllo sullo Stretto, tra i sodali l’informazione circola con linguaggio in codice: «Si è rovesciato il camion di Andrea». 

Le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo hanno coperto gli anni 2015 e 2016. Puntorno, ora in carcere, dovrà rispondere dei reati di traffico di stupefacenti e di concorso esterno all’associazione mafiosa. «Puntorno – scrive il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare – attivando il canale di approvvigionamento calabrese, ha di certo realizzato un contributo concretamente apprezzabile e causalmente idoneo a determinare il rafforzamento o, comunque, il mantenimento delle capacità operative del sodalizio diretto da Massimino, quale non ha fatto parte». 

Salvo Catalano

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