Mi rendo conto sempre più che nel gran calderone dell’informazione politica, in vista dell’appuntamento elettorale del 28 ottobre, per un comune cittadino è davvero molto difficile districarsi e distinguere le notizie dalla propaganda. Tempo fa, navigando sul web, mi sono imbattuto in una trasmissione politica in onda su Webmarte, una testata giornalistica online di Siracusa che fino ad allora non avevo mai visitato. Il titolo era Diritto e Rovescio – la politica appesa ad un filo e la descrizione incuriosiva parecchio. Cito testualmente dal loro sito: «Alessandro Mascia, giovane giornalista pungente, attento osservatore della politica locale ospiterà nel suo salotto personaggi di ogni fede partitica, ponendo loro domande su programmi, progetti, attualità…».
«Bene!» mi dico, finalmente c’è qualcosa d’interessante. Il primo ospite in studio è stato Vincenzo Vinciullo, un deputato regionale uscente del Popolo delle Libertà. Apro il video della puntata, mi metto comodo e ascolto. Ma dopo pochi minuti mi accorgo che qualcosa non andava. Di tutto mi sembrava si trattasse fuorché di un’intervista giornalistica: alle domande (assist del conduttore dico io) si alternavano lunghi monologhi senza interruzione del politico ospitato. Faccio un esempio per farmi capire: all’inizio della puntata Mascia cita un sondaggio dell’agenzia Demopolis sull’elevato indice d’astensione dal voto dei siciliani atteso in occasione delle prossime elezioni regionali. Dice che i siciliani voterebbero non il partito ma il singolo candidato e chiede: «Questo potrebbe agevolare deputati come lei che hanno un’intensa attività parlamentare, si sono manifestati per questo grande impegno al parlamento siciliano. Vuole commentare?». E via sei minuti di soliloquio di un Vinciullo in gran spolvero che avrebbero annoiato anche i più appassionati elettori. Ma magari è solo l’inizio, vuole farlo mettere comodo, mi dico.
Poi si cambia argomento. Altro dato Demopolis: i cittadini preoccupati per la crisi economica e occupazionale e nuovo domandone incalzante del giornalista: «Come si può sovvertire questo dato e ridare fiducia alle persone?». Il deputato si sfrega un attimo la fronte (evidentemente spiazzato) si guarda intorno e poi riparte: altri cinque minuti di un Vinciullo assoluto protagonista della scena televisiva, intento a dar sfogo alle sue elucubrazioni, alternate dalle immagini del giornalista in silenzio ad attenderne pazientemente la conclusione. Sforati abbondantemente i 13 minuti, resta ancora il tempo per un finale strappa-lacrime che non ti aspetti, con un focus del conduttore sulla figura umana del deputato regionale. Roba da Super-quark. Questi deputati strapagati che sono sempre di corsa, senza tempo libero, che magari avrebbero voglia di tornare a casa dalle famiglie, senza tempo per un hobby. Questo dice il giornalista e l’atmosfera in studio si fa romantica, in uno stile a metà tra il Porta a porta di Bruno Vespa e il C’è posta per te di Maria De Filippi. Da lì in poi c’è un Vinciullo quasi commosso dall’affiorare dei ricordi dei figli che crescono senza di lui. Insomma uno spettacolo degno di Rai-fiction e io che mi aspettavo un serio programma di informazione!
Mentre mi distraggo noto sullo schermo la dicitura «trasmissione di comunicazione politica» ma solo il giorno dopo scopro che significava. Il salotto televisivo di Diritto e Rovescio infatti altro non era che uno spazio di pubblicità elettorale a pagamento. E non è che ci vuole molto per scoprirlo, basta andare sul sito e leggere il codice di autoregolamentazione di Webmarte: «DIRITTO E ROVESCIO – la politica appesa ad un filo è una trasmissione di comunicazione politica della durata complessiva di 30 minuti (15 minuti a candidato o partito politico) in cui ciascuno potrà esporre il proprio programma elettorale e rispondere alle domande di un giornalista assicurando, comunque, imparzialità e pari opportunità nel confronto». Quota di partecipazione al programma: 300,00 a puntata e per ogni candidato. Da telespettatore ingenuo quale sono, non vi nascondo di essermi sentito preso in giro. Se avessi scoperto prima che si trattava di pubblicità elettorale, avrei evitato volentieri di vederla!
Non è che mi scandalizza che una testata offra pubblicità elettorale a pagamento. Ma mi sono informato e so che è la legge a regolamentarla e pure l’ordine dei giornalisti mi pare che lo preveda. Navigando su Internet in un momento di indignazione, infatti, ho letto nella Carta dei doveri che il giornalista non «può prestare il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie incompatibili con la tutela dell’autonomia professionale» e «deve sempre rendere riconoscibile l’informazione pubblicitaria e deve comunque porre il pubblico in grado di riconoscere il lavoro giornalistico dal messaggio promozionale». Come se non bastasse, c’è una legge del 2000 che dice che la partecipazione ai «programmi di comunicazione politica radiotelevisiva» è in ogni caso gratuita. In Veneto evidentemente è già successo (almeno non siamo i soli!), perché c’è persino una pronuncia dell’ordine dei giornalisti che vieta agli iscritti di occuparsi di pubblicità elettorale e dice proprio «spot, interviste, dibattiti, tribune, talk show a pagamento, ecc».
Ora, io non sono un esperto e non sono in grado di dire se sia ravvisabile una violazione deontologica nel caso in esame ma, con un velo di amarezza, mi tornano alle mente le parole di un vero giornalista, il giornalista-partigiano Giorgio Bocca: «Oggi padrona dell’informazione è la pubblicità, che è il contrario dell’informazione. La pubblicità è menzogna».
Telespettatore critico
[Foto di Suaves]
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