Più di settemila campi da calcio. È lo spazio che potrebbe occupare il Pua alla Playa (Piano urbanistico attuativo, variante Catania Sud). Un investimento da circa 300 milioni di euro per realizzare un centro polifunzionale con alberghi, sale congressi, campi da golf, parco divertimento e un grande acquario. Approvato la prima volta nel 2002 dall’amministrazione comunale Scapagnini, il suo iter burocratico non è ancora concluso. Una strada sempre più tortuosa tra esposti in procura, proteste dei cittadini e poca chiarezza sulle intenzioni politiche. Dopo più di dieci anni, il mistero principale resta legato alla società Stella Polare srl – che ha presentato l’unico progetto per la realizzazione del Pua – e ai capitali che verranno utilizzati per i lavori. Genericamente indicati come provenienti da fondi esteri.
Stella Polare, con sede in piazza Europa, è una società costituita a fine 2005 con un capitale sociale di poco più di diecimila euro. Al momento della registrazione, i soci sono l’imprenditore veronese Renzo Bissoli e i catanesi Salvatore Modica e Francesco Strano. Questa composizione dura fino al 2008, quando i due soggetti etnei cedono la loro parte di proprietà a Bissoli. Ad amministrare l’azienda viene chiamata la compagna dell’imprenditore veneto, titolare di una galleria d’arte a Catania. I soci con cui Bissoli decide di fondare Stella Polare sono entrambi noti alle forze dell’ordine. Modica è il cognato di Giovanni Parisi, considerato un esponente del clan mafioso dei Laudani. Sempre secondo gli investigatori, in passato l’ex socio di Bissoli avrebbe anche favorito la latitanza di Francesco Pistone, pregiudicato affiliato allo stesso clan. Condannato in primo grado per quest’accusa, la corte d’appello di Catania ha assolto Salvatore Modica dal reato di favoreggiamento personale aggravato di Francesco Pistone perché il fatto non sussiste. Francesco Strano è invece un geometra che negli anni ha collezionato diversi ruoli in varie società. Tra queste c’è anche la Futuria costruzioni srl, costituita dalla moglie di Francesco Guardo – detto Franco u longu – e madre di Michele. Entrambi gli uomini ritenuti affiliati a Cosa nostra catanese e arrestati l’ultima volta nel 2014 nel blitz antimafia Caronte. A parlare dei Guardo sono diversi collaboratori di giustizia, tra cui Santo La Causa che li etichetta come «particolarmente vicini a Pippo Ercolano, con cui erano soci nel settore dell’edilizia». Nel 2009, inoltre, i carabinieri documentano un incontro tra Strano e Franco Arcidiacono – detto u salaru -, poi condannato per mafia a otto anni di carcere.
Unico socio non siciliano, ma comunque da anni residente nel Catanese, è
Renzo Bissoli. Condannato in primo grado a sette anni per bancarotta fraudolenta, a gettare delle ombre sui suoi rapporti imprenditoriali è soprattutto la frequentazione con Mariano Incarbone, imprenditore autonomista condannato in appello a cinque anni per associazione mafiosa. Il rapporto tra i due è stato ricostruito nella sentenza che ha portato alla condanna in primo grado per concorso esterno alla mafia dell’ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, accusato di essere stato il referente politico di una serie di appalti di interesse della criminalità organizzata. Tra cui appunto il Pua. A raccontare come il mega-progetto alla Playa facesse gola a Cosa nostra etnea è stato il collaboratore di giustizia Santo La Causa, ex reggente della famiglia catanese. Secondo il pentito, la gestione di Bissoli è stata al centro di una contesa tra due imprenditori che avrebbero dovuto fare da intermediari: Incarbone, riferimento del rappresentante provinciale di Cosa nostra Enzo Aiello, ed Enzo Romeo, incaricato dallo stesso La Causa. L’arresto dell’allora reggente non gli ha consentito di seguire da vicino gli sviluppi della vicenda, ma le numerose intercettazioni tra Bissoli e Incarbone raccontano di come i due trattassero insieme e spesso una serie di affari, tra cui anche il Pua. «Voglio dirti che questa mattina, la commissione ha approvato la Playa», «Perfetto, uno a zero, palla al centro», è forse il loro scambio di battute più noto.
Meno noto è invece l’argomento ricorrente delle conversazioni tra gli imprenditori: la figura di un architetto nel
2008 a capo della direzione urbanistica del Comune di Catania. Una vecchia conoscenza di Incarbone, mal sopportata da Bissoli per la scelta di far seguire al Pua un iter burocratico troppo lungo e tortuoso, a detta dell’imprenditore veneto. A indisporre Bissoli è soprattutto la decisione del dirigente di far votare il piano dal consiglio comunale. Il quale, tra convocazione, sedute valide e voto avrebbe fatto perdere almeno un mese di tempo, costringendo ancora una volta l’imprenditore a discutere il suo debito con le banche. Una impasse di cui Bissoli parla spesso anche con un altro soggetto coinvolto nell’affare: Mario Ciancio, direttore ed editore del quotidiano La Sicilia, proprietario di circa il 30 per cento delle aree su cui dovrà realizzarsi il Pua. Ciancio però, secondo i magistrati, non si è limitato a vendere gli appezzamenti, ma avrebbe seguito da vicino lo sviluppo burocratico dell’affare, attivando le sue conoscenze politiche. Raffaele Lombardo, vicesindaco di Catania nel 2002, ma non solo.
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