Barba leggermente incolta, cravatta in maglia e occhiali da sole con vetri scuri. Massimo Russo, ex assessore alla sanità della Regione Siciliana nel governo di Raffaele Lombardo, dopo una doppia assenza per legittimo impedimento testimonia nel processo sull’affidamento senza gara d’appalto del servizio d’informatizzazione del Pta di Giarre (Presidio territoriale d’assistenza, ndr). Il magistrato – attualmente in servizio a Napoli ma per anni prestato al mondo della politica – è arrivato nei corridoi del palazzo di giustizia etneo con largo anticipo. In aula ripercorre l’iter amministrativo del progetto, nato sul modello delle cosiddette case della salute sponsorizzate in Emilia Romagna dall’allora ministra Livia Turco e che in Sicilia doveva portare a «un nuovo modello organizzativo della sanità».
Il nodo della vicenda – tra tecnicismi burocratici e continue precisazioni da parte del testimone sulla scarsa conoscenza della materia sanitaria, almeno nei primi mesi d’insediamento – è la scelta della sede di Giarre. «Ricordo gli incontri con Fidelbo – racconta Russo -, lui si presentò come un esperto d’informatica sanitaria. Si parlava anche del cofinanziamento della casa della salute». Il marito della senatrice Anna Finocchiaro, finito alla sbarra insieme al senatore autonomista Antonio Scavone e ai due manager Giuseppe Calaciura e Giovanni Puglisi, viene più volte etichettato come una persona «particolarmente pressante». Un modo di fare che spinge Russo a delegare la gestione della vicenda a Giada Li Calzi, sua burocrate di fiducia. «Non ho mai avuto le carte di questo progetto, ma venne scelta quella sede perché rientrava in un discorso generale di linee programmatiche. Di Pta dovevamo farne 60 e io non volevo perdere i soldi dei finanziamenti».
Un progetto, quello nel Comune etneo, portato avanti dal consorzio Sd@ dove, oltre a una società di Fidelbo, c’era la partecipazione dell’università di Catania e dell’azienda sanitaria provinciale. «Li Calzi mi disse che qualcosa non tornava – spiega Russo -, perché al ministero non esisteva materialmente il progetto, nonostante Fidelbo dicesse di poter avere delle agevolazioni». Il volto dell’ex assessore si incupisce quando in aula ripercorre la giornata dell’inaugurazione del presidio. Il 15 novembre 2010 per il taglio del nastro tricolore insieme a Russo ci sono Anna Finocchiaro, Livia Turco e Melchiorre Fidelbo. «Trovammo proteste e fischi ma non riuscivo a capire chi fosse il vero destinatario. In verità pensavo di essere io per le scelte impopolari legate alla riforma sanitaria che stavo attuando». A fargli cambiare idea è però un articolo di giornale. Un pezzo che Russo chiama «articolaccio» in cui si affiancava l’apertura del presidio di Giarre all’ingresso nella giunta Lombardo del partito Democratico. Lo stesso schieramento che qualche anno prima aveva proprio Finocchiaro come sfidante di Lombardo.
«Mandai comunque gli ispettori che scrissero una relazione molto pesante – prosegue Russo -, poi decisi d’inoltrarla anche alla Procura e alla Corte dei conti». Alla base della scelta, «il fatto gravissimo che l’azienda sanitaria prendesse dei soldi e li affidasse in maniera diretta senza una gara pubblica». Dalla relazione si passa quindi alla revoca in autotutela il 28 gennaio 2011 per «la violazione del regolamento degli appalti». In mezzo, quella che Russo definisce la sua «incazzatura».
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