Pronto soccorso senza medici, via ai corsi della Regione Al Cefpas si formano i neolaureati, ma il futuro è precario

La soluzione siciliana alla carenza di medici nei pronto soccorso ha preso il via a Caltanissetta. Da fine gennaio una sessantina di giovani professionisti popolano tre padiglioni del Cefpas, ente di formazione con sede nel capoluogo nisseno che la Regione ha scelto per provare a mettere una pezza a un problema che accomuna tutta Italia. «Lo stiamo facendo in maniera rivoluzionaria – dicono dall’assessorato alla Salute guidato da Ruggero Razza – Lazio e Veneto ci stanno venendo dietro». La via scelta dal governo Musumeci è chiamare i medici neolaureati ma non specializzati, formarli con un corso teorico-pratico di 360 ore e poi inviarli nelle corsie dei pronto soccorso siciliani per due anni pagandoli con una borsa di studio di circa 1.700 euro al mese. 

E alla fine dei 24 mesi? «Che qualifica avremo e dove potremo spenderla?». È questa la domanda che si pongono i medici che hanno scelto di intraprendere questa strada. Un quesito a cui in realtà al momento non c’è una risposta definita. Quel che è certo è che questi giovani professionisti, non specializzati ma «altamente formati», avranno sì una marcia in più nel settore dell’emergenza, ma si ritroveranno con in mano un attestato che non gli consente di partecipare ai concorsi per entrare stabilmente nel sistema sanitario nazionale.

Facciamo un passo indietro. L’allarme rosso scatta la scorsa estate quando in diversi ospedali siciliani, tra ferie e quota cento (nei prossimi sei anni in Sicilia usciranno 2.251 medici), in corsia rimangono in pochi. Con le sale operatorie, in alcuni casi, attive solo per le emergenze. Ma il problema è strutturale e riguarda tutta Italia: in Molise richiamano i medici militari, in Veneto i pensionati, in Toscana i neolaureati. In Sicilia mancano 233 medici di emergenza-urgenza, ha fatto i conti l’assessorato dopo aver sondato tutte le aziende sanitarie, ma l’unica scuola di specializzazione sforna tre professionisti all’anno. Così colmare il gap diventa impossibile. La Regione lancia un piano che prova ad aggredire il problema da più fronti: assunzioni, utilizzo dei medici in quiescenza e in convenzione, e la formazione specifica di neolaureati che non sono riusciti a entrare alla specializzazione. 

A fine gennaio, quindi, parte a Caltanissetta la prima delle tre finestre del Corso teorico-pratico triennale in medicina di emergenza-urgenza: 360 ore di apprendimento e formazione (210 ore di teoria al Cefpas e 150 ore di stage tra pronto soccorso e mezzi del 118), quota di partecipazione 2.400 euro. Frequenza dal martedì al venerdì fino a metà marzo. Si studia, ad esempio, come usare il defibrillatore, cosa fare in caso di parto precipitoso, come fare un ecografia o un elettrocardiogramma nelle emergenze, la rianimazione neonatale ecc. 

Superati gli esami, i giovani medici avranno conseguito l’attestato di idoneità all’esercizio di attività di emergenza sanitaria territoriale che gli consente di lavorare sulle ambulanze e in strutture private. Chi vorrà potrà poi proseguire con la fase due, cioè i 24 mesi di work on the job, cioè negli ospedali. Solo in questo momento scatta la borsa di studio da 22.700 euro lordi all’anno (circa 1.700 euro al mese), «stessa retribuzione e stessi diritti degli specializzandi», sottolineano dall’assessorato. E la restituzione, cento euro al mese, di quanto speso per la fase uno. 

«I giovani medici che incontro mi sembrano contenti – spiega a MeridioNews il direttore del Cefpas, Roberto Sanfilippo – stanno acquisendo competenze importanti, ad esempio come intubare una persona in trenta secondi». Al momento gli iscritti sono una sessantina, anziché i 96 previsti perché qualcuno avrebbe rinunciato. Tra i partecipanti, infatti, all’entusiasmo per un nuovo percorso si abbina ancora qualche perplessità. Sono due, in particolare, gli aspetti critici: la fase due, quella in ospedale, è incompatibile con qualunque altra attività da liberi professionisti. Chi aveva già dei pazienti-clienti sostanzialmente li perderà. Altro aspetto nebuloso è la collocazione alla fine dei due anni. «Senza un intervento legislativo apposito non potremo fare i concorsi», ammettono i giovani medici. La stessa perplessità sollevata qualche mese fa dal sindacato Annao Assomed che parlava di «rischio precariato». 

«La delibera che istituisce il corso non prevede un dopo, noi non assicuriamo né assunzioni né corsie preferenziali», precisa il direttore del Cefpas Sanfilippo. Sembrerebbe che la Regione stia lavorando, anche in sede di conferenza Stato-Regioni, per far riconoscere il corso a livello nazionale, mentre in futuro, nei concorsi banditi dalle aziende sanitarie siciliane, potrebbero essere riconosciute delle premialità a queste nuove figure. Soluzioni a medio termine da verificare alla prova dei fatti. 

Salvo Catalano

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