Prof negazionista o vendetta per i voti troppo bassi? «Io che ero fascista, a scuola, l’ho saputo per ultimo»

«Adesso basta, mi pento amaramente di non aver sollevato un casino da subito». Gino Giannetti, professore di Discipline plastiche al liceo artistico Eustachio Catalano ha rotto il silenzio. Lo ha fatto attraverso un lungo post pubblico su Facebook, a cui ne sono seguiti altri nei giorni successivi. E lo ha fatto il giorno stesso in cui il suo nome e il suo volto sono apparsi su tutti i giornali. Dopo aver ascoltato, letto e meditato per un giorno intero su quella notizia sbattuta in prima pagina e che non gli ha risparmiato gli effetti della gogna mediatica che certe vicende tendono a scatenare senza controllo. Professore negazionista della Shoah che se la prende con gli ebrei e con Primo Levi, questo il racconto uscito fuori dalle pagine dei quotidiani, uno che incitava gli studenti a iscriversi a Forza Nuova e che sarebbe adesso sotto inchiesta da parte della Digos e della procura di Palermo. A segnalare alcuni episodi particolari sarebbero state alcune sue alunne, che avrebbero raccontato tutto al preside, che a sua volta avrebbe poi fatto partire un esposto.

Nelle prime ora il professore coinvolto nella vicenda ha preferito restare in silenzio. Fino a quando non ha cominciato a usare i social per dire la sua. Se non ha parlato sin dall’inizio è stato «per rispetto del lavoro dei miei colleghi. Per mancanza di rispetto per gran parte di coloro che scrivono per mestiere. Perché articoli così fanno male ad una scuola. A prescindere». Scuola che, infatti, alla diffusione della notizia si è subito chiusa a riccio evitando di lasciare qualunque tipo di commento sulla vicenda, anche a distanza di giorni. Ma non c’è stato solo il fango. «Ringrazio tutti quelli che mi conoscono e mi stanno contattando per esprimere solidarietà, rimasti semplicemente basiti – scrive -. Che vi devo dire: guardiamo il bicchiere mezzo pieno… adesso tutti sanno che sono andato a Parigi in vespa! Genova-Parigi in un giorno e poco più», scherza il prof, cercando di sdrammatizzare.

«Per quanto riguarda invece tutti gli antifascisti da tastiera che mi stanno riempiendo di insulti – scrive ancora -, alcune puntualizzazioni: non sono di sinistra. Sono comunista. I lager sono stati liberati dalla gloriosa armata rossa e non dagli americani. Mio nonno ha combattuto la Germania nazista per cinque anni, mentre in Italia i vostri nonni, con un livello probabilistico molto alto, alzavano il braccio teso anche dopo le leggi razziali. Era partigiano belga e mi ha insegnato bene cosa voglia dire essere un partigiano. Invitandomi a non odiare il nemico. Mai. Per non somigliargli. Mio nonno italiano litigava con mia nonna per impedire a mio padre di indossare la camicia nera dei balilla. Mio padre era comunista e quando lo scoprii ero grande e ne fui orgoglioso. Quello che vedete in foto è il chiodo con cui giravo, solo spesso, per le strade di Roma. O anche Catania. Di notte. Poi ho smesso di indossarlo, che ormai era arrivata una certa età».

Un passato, insomma, che restituirebbe del docente dell’artistico un ritratto profondamente differente da quello deducibile invece dalle accuse rivoltegli dalle sue alunne. O, almeno, da quella parte di loro che hanno innescato l’intera vicenda. «I miei studenti sono stati invitati a vedere il film L’onda o leggere la grafica novel Maus. Tra le tante cose. Per farli ragionare, non indottrinare – puntualizza ancora -. Sono stato ingenuo a non pensare che tutto mi sarebbe stato rigirato contro per dei voti negativi? Non me ne vergogno affatto. E sono stati loro a scegliere la traccia da sviluppare. Anzi, a volerci tornare dopo mesi. Non io. Io volevo si applicassero al tema “Luce e Ombra”. Perché immaginavo non sarebbero riusciti a tirare fuori idee accettabili, visto che mi sono sentito dire, sempre da loro, che Lenin aveva ereditato la Russia dagli zar! Incredibile al quinto anno? Molto meno di questo casino surreale». Ma proprio in quella scuola, la sua, da cui tutto questo è partito, molti altri, tra alunni e colleghi, in questi giorni gli hanno dimostrato solidarietà e rispetto. Una fra tutti la rappresentante d’istituto, che ne ha da subito preso le difese.

«Io che ero fascista, a scuola, l’ho saputo per ultimo! Ah, che si decidessero una buona volta a dire se li ho invitati a votare Casapound, come riportato nella denuncia, o Forza Nuova, come riportato nell’articolo. Capisco che la crassa ignoranza possa portare a confonderli e il mio rammarico è che devo evincere con tutto sto casino che è vero, non sono un buon prof: ancora non l’hanno capita! Nonostante mi avessero detto di avere alcune di loro simpatie a destra. Detto per inciso ringrazio anche per le firme praticamente di tutti i genitori delle altre classi su un documento a mio sostegno ed anche quelle non sono riportate nell’articolo. Dettagli? Fate voi». E, di nuovo, lo stesso giorno: «Se sto reggendo, dopo mesi da incubo, è solo grazie al sostegno morale di alunni e genitori i quali non potrò mai ringraziare abbastanza. Ma, guarda il caso, l’articolo esce fuori solo adesso… a scuola chiusa… mentre la denuncia data i primi di febbraio, dopo la pubblicazione degli scrutini»

Tanti i commenti di solidarietà e vicinanza raccolti in questi giorni proprio da quei social che all’apprendere la notizia gli avevano, al contrario, vomitato addosso solo dubbi e insulti. E anche il prof Giannetti, tra una foto e l’altra dei lavori dei suoi alunni, continua a tornare sulla vicenda. «Comincio a riprendere un minimo di senso della realtà, dopo una mazzata che avrebbe steso un pachiderma. Adesso, a mente più lucida, mi chiedo e chiedo a tutti per avere lumi: ma può sembrare credibile che massimo in sette studenti di una classe, dopo che il loro cattivissimo prof, brutto brutto, cattivo è stato esautorato dall’incarico di fare gli esami di stato, tra gli scritti e gli orali da preparare, si riuniscano per scrivere una lettera da inviare ad un giornale? Da sole? Per amore della verità? Per profondissimo senso della giustizia ed evitare che io possa deviare in futuro, e per sempre, giovini menti? Perché io, ovviamente, per nausearle a questo punto avrò parlato tutti i giorni di Shoah, invece di invitarle a modellare, altrimenti non si spiega. Qualcuno sa spiegarmelo tutto questo odio per la mia persona? Sono limitato, non ci arrivo, non è nelle mie corde. Sarà che sono ingenuo». E poi, di nuovo, le foto dei lavori realizzati dai suoi alunni. «Perché se c’è un linguaggio veramente universale, è quello dell’arte».

Silvia Buffa

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