Cosa ne sarà del processo Università bandita sul presunto sistema di favoritismi all’interno dell’ateneo di Catania. Una domanda che per il momento rimane senza risposta. Prima bisognerà capire se verrà sollevata, come chiesto dalla procura etnea al tribunale il 30 settembre scorso, la questione di legittimità costituzionale sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Un colpo di spugna sulla norma, che viene contestata a diversi imputati di questo processo, un tempo regolata dall’articolo 323 del codice penale salvo poi essere cancellata il 9 agosto 2024 con il ddl Nordio, disegno di legge che prende il nome del ministro della Giustizia Carlo Nordio e che modifica il codice penale, il codice di procedura penale e l’ordinamento giudiziario.
I giudici della seconda sezione penale avrebbero dovuto sciogliere la riserva sulla questione di legittimità davanti la corte Costituzionale nell’udienza di oggi pomeriggio ma l’appuntamento è slittato a fine novembre. Intanto alcuni legali hanno chiesto di stralciare la posizione dei loro assistiti per quanto riguarda gli altri reati contestati tra i quali corruzione, falso e turbativa d’asta. Ipotesi alla quale la procura ha fatto opposizione e sulla quale, anche in questo caso, si avrà una decisione durante la prossima udienza. Se verranno stralciate alcune posizioni si profilerebbe uno scenario in cui avremmo degli imputati che verranno giudicati per alcune accuse ma che, nello stesso tempo, potrebbero ritrovarsi in attesa delle decisione dei giudici della corte costituzionale qualora il tribunale stabilisca di porre la questione di legittimità sull’abuso d’ufficio. Alla sbarra ci sono 51 persone e il processo a dire il vero era già alle battute finali, nonostante l’avvicinarsi della prescrizione, con la procura che a inizio anno aveva terminato la propria requisitoria chiedendo condanne che vanno dai 2 ai 10 anni di reclusione per 39 imputati e avanzando richiesta di assoluzione per altri 12.
Per risalire al blitz, effettuato dalla Digos sotto il coordinamento della procura allora guidata dal procuratore Carmelo Zuccaro, bisogna andare indietro fino al 2019. La richiesta di rinvio a giudizio arrivò invece nel 2020 quando i procedimenti erano ancora due. In un filone, quello definito il principale, c’erano gli ex rettori Francesco Basile e Giacomo Pignataro e altri sette docenti. Nell’altro, invece, comparivano tra gli altri i nomi dell’ex procuratore Vincenzo D’Agata, della figlia Maria Velia D’Agata, docente universitaria, e dell’ex sindaco Enzo Bianco. Il 22 settembre 2021 c’è il rinvio a giudizio, disposto dalla giudice Marina Rizza, per gli imputati del filone principale senza però l’accusa di associazione a delinquere con una sentenza di non luogo a procedere. Meno di un mese dopo, il 13 ottobre 2021, anche la giudice Simona Ragazzi stabilisce di mandare i 45 imputati del filone secondario a processo. Tra i due filoni c’è anche un’altra differenza. La giudice Rizza, nel troncone principale, stabilisce di derubricare in abuso d’ufficio la contestazione di turbativa d’asta, mentre Ragazzi lascia invariati i capi d’imputazione.
Il 19 ottobre 2022 i due filoni vengono riunificati determinato la particolare situazione per la quale «per un medesimo fatto storico vi sono imputati ai quali è contestato l’abuso d’ufficio e imputati correi nel
medesimo reato per i quali si era proceduto separatamente ai quali, invece, è contestata la turbativa d’asta», si legge nel ricorso che la procura vuole inoltrare alla corte Costituzionale. Per i magistrati ritenere inapplicabile la turbativa d’asta per i concorsi pubblici e ritrovarsi senza la possibilità di contestare l’abuso d’ufficio è «un vuoto normativo incolmabile e i cittadini, esposti, non avranno più alcuna difesa, in spregio anche allo stesso articolo 34 della Costituzione che tutela i capaci e meritevoli anche se privi dei mezzi e lo stesso articolo 3 della Costituzione atteso che il confine tra la piena realizzazione personale e il diritto allo studio non sarà più il merito ma il possesso di mezzi economici adeguati per accedere a forme di tutela diverse da quelle penali (ricorsi amministrativi, ndr)». Per i magistrati etnei, senza una pronuncia di illegittimità da parte della corte Costituzionale nei confronti dell’abolizione dell’abuso d’ufficio, si arriverebbe a una sentenza di non luogo a procedere dal momento che il reato non è più previsto come tale dalla legge.
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