Un’arringa dietro l’altra. Gli avvocati che tutelano le parti civili nel processo di secondo grado contro Loris Gagliano – l’assassino di Stefania Noce e di suo nonno Paolo Miano – hanno tirato le loro conclusioni questa mattina, nel corso della penultima udienza del procedimento. Discorsi accorati, tutti concordi nell’istanza finale: accogliere la richiesta dell’imputato di rinunciare al procedimento d’Appello e confermare il verdetto di colpevolezza del primo grado, con la relativa condanna all’ergastolo. La sentenza di questo secondo capitolo giudiziario, che inizialmente era stata prevista per il 25 novembre, è stata anticipata al 24, quando il giudice Luigi Russo e il resto della corte si chiuderanno in camera di consiglio. Alla decisione, ormai, manca solo l’ultimo intervento in aula, quello della difesa, rappresentata da Giuseppe Rabbito.
«È possibile, signori giudici, che facciamo pendere l’ago della bilancia a favore di Loris Gagliano, che senza la conferma dell’ergastolo tornerà a vivere la sua vita, mentre Stefania Noce non vivrà più?», inizia Enzo Trantino, avvocato di Rosa Miano, madre di una vittima e figlia dell’altra. E se al centro di tutte le udienze d’Appello c’è stata la presunta infermità mentale di Loris Gagliano, altrettanto è accaduto sia per la requisitoria del pubblico ministero, sia per la chiusura del dibattimento da parte degli avvocati delle parti civili. «Nessuno dei periti è riuscito a formulare una diagnosi clinica – spiega Trantino – Ci sono solo percezioni personali, tutte rispettabili, ma nessuno degli esperti interpellati ha saputo dare un nome preciso a una patologia». «La lucidità plasma tutte le azioni di Gagliano, la componente narcisistica è un tratto caratteriale, gli psichiatri che abbiamo sentito non hanno parlato di uno sconfinamento nella psicosi», continua Cecilia Puglisi, che in aula ha rappresentato il Comune di Licodia Eubea, dove il delitto si è consumato, il 27 dicembre 2011. «A pagina 54 del documento consegnato dai periti d’ufficio Francesco Bruno e Bruno Calabrese – puntualizza Marisa De Corrado, avvocato di Sebastiana Montalto, nonna paterna di Stefania – si legge “Non è possibile formulare una diagnosi a causa della mancata collaborazione del periziando”».
Sull’inaffidabilità delle perizie si concentra anche Enrico Trantino, difensore di Gaetana Ballirò, testimone oculare degli omicidi e unica superstite di quella mattina di dicembre di tre anni fa: «Le perizie sono di un’approssimazione sconcertante – afferma – A proposito del test delle macchie di Rorschach, usato dagli psichiatri nominati dal giudice per formulare la loro teoria sulla sanità mentale di Gagliano, ho chiesto a Bruno: “Non è possibile che un suo collega, sulla base dello stesso test, dichiari Loris capace di intendere e di volere?”. Lui mi ha risposto: “Se si tratta di un operatore paragonabile a me, no”. Qui l’assassino non è il solo ad avere una personalità narcisistica».
Ma nel dibattimento c’è spazio di nuovo per la definizione di femminicidio, che il magistrato della pubblica accusa, Giulio Toscano, ha definito «un brutto neologismo dal sapore sociologico». «Il proposito omicida di Loris Gagliano si presenta a settembre, quando lui ruba le chiavi di casa di lei, e si struttura con il passare del tempo. Lui è come una belva che aspetta la sua preda», comincia Pierpaolo Montalto che difende gli interessi di Ninni Noce, padre di Stefania. «Loris non accetta che Stefania se ne vada – sostiene il legale – L’essenza del femminicidio è questa: un uomo che considera una donna una sua proprietà, senza autonomia di decisione e, soprattutto, senza possibilità di allontanarsi. Il movente del delitto è questo». Sulla stessa linea, Valeria Sicurella, avvocato del centro antiviolenza Thamaia, ultima delle parti civili: «Il giocattolo si era rotto – dice – Lui voleva fargliela pagare. Non nutro una grande passione per il termine femminicidio, però ha la sua connotazione: lui la uccide solo perché lei è una donna. Gagliano uccide Stefania perché lei gli sfugge». «Chiamatelo femminicidio, chiamatelo omicidio, chiamatelo come volete – conclude Sicurella – Loris l’ammazza perché gli manca la terra da sotto i piedi quando lei smette di essere nel suo controllo. Sento ogni genere di storia di donne che si affidano a Thamaia: tutte parlano di violenze efferate, nessuna parla di follia».
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