È ripreso ieri mattina nel’aula bunker di Caltanissetta il processo con rito ordinario nato dall’inchiesta su Antonello Montante. L’ex numero uno di Confindustria Sicilia è stato condannato nel rito abbreviato a 14 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e all’accesso abusivo a sistema informatico. Continua invece il processo ordinario per 17 imputati. In aula vengono sentiti i teste chiamati dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Dopo aver acquisito i verbali dei pentiti, ieri è stata la volta di soci e dipendenti di Confindustria di Caltanissetta.
A parlare sono stati Francesco Averna, imprenditore e fondatore dello storico amaro; Tullio Giarratana, ex direttore di Confindustria Caltanissetta; Maria Lucia Di Buono, per 42 anni responsabile dell’amministrazione di Confindustria nissena; unico teste esterno alla famiglia degli industriali è Michele Tornatore, oggi ristoratore, all’epoca dipendente dell’Htm, società del gruppo Montante.
«Avevamo scoperto che, pur di andare sui giornali, il signor Montante fece scrivere che lui aveva avuto assegnata una laurea honoris causa dalla Sapienza e consegnata a Roma dal presidente Ciampi. E la mattina che abbiamo letto questo articolo siamo rimasti tutti meravigliati», così Giarratana ha raccontato uno degli episodi finito nell’indagine, tra i tasselli del puzzle che hanno composto l’immagine di paladino dell’antimafia di Montante. «Ricordo – ha continuato l’ex direttore di Confindustria – che chiamai al telefono il giornalista che aveva scritto l’articolo. Mi disse che gli avevano fatto sapere questa notizia. Dopodichè chiamai l’ufficio stampa e chiesi se avevano contezza di questa laurea. Per farla breve vollero un fax dell’articolo. Il presidente della Repubblica, con il prefetto e La Sapienza fecero poi una lettera di smentita».
Al centro delle audizioni di ieri sono state soprattutto le vicende legate alla gestione interna di Confindustria Caltanissetta e in particolare i rapporti di Montante con Paolino Arnone e col figlio Vincenzo, mafiosi di Serradifalco ed entrambi suoi testimoni di nozze. Le storie degli Arnone e di Montante si intrecciano anche all’interno di Confindustria. Secondo quanto ricostruito dalla Procura nissena, all’epoca quando si doveva iscrivere una nuova azienda a Confindustria serviva la firma di un altro associato, a garanzia del nuovo arrivato. Nel caso dell’impresa di Montante Gimon questo garante sarebbe stato proprio Vincenzo Arnone. Che poi, nel 1996, si sarebbe speso per l’elezione di Montante alla presidenza dei giovani industriali nisseni. Per poi essere inserito anche tra i saggi dell’associazione.
«Non ricordo perché – ha detto oggi in aula Tullio Giarratano – dopo l’arresto dell’imprenditore Vincenzo Arnone nel 2001, non vennero presi provvedimenti dal direttivo di Confindustria. Fino a tale data Arnone era ritenuto una persona per bene». Eppure già nel 1992 il pentito Leonardo Messina aveva indicato in Vincenzo Arnone un uomo d’onore, esattamente come il padre Paolo. Accuse che avevano avuto risalto anche sui giornali. «Dopo il 2001 – ha aggiunto l’ex direttore di Confindustria, rispondendo all’avvocato Giuseppe Panepinto che difende Montante – non furono adottati provvedimenti ma si aspettò che le aziende di Arnone venissero escluse da Confindustria per morosità». Il legale ha poi precisato che il provvedimento di esclusione di Arnone venne adottato soltanto sotto la presidenza Montante. Sullo stesso punto l’imprenditore Francesco Arena ha risposto di non avere saputo dell’arresto di Arnone.
Nelle indagini la Procura ricostruisce la sparizione dall’archivio di Confindustria Caltanissetta di alcuni documenti che proverebbero i legami tra Arnone e Montante all’interno dell’associazione degli industriali. Secondo l’accusa, dopo la sua elezione Montante avrebbe dato ordine a due dipendenti a lui vicini di «fare pulizia» di questa documentazione. Così dalla sede dell’associazione sarebbero stati portati via oltre 30 scatoloni, trasferiti «in un magazzino nella disponibilità dell’imprenditore Massimo Romano (anche lui tra gli imputati ndr)». A consegnarli ai due dipendenti Francesco Castorina e Veruska Spagnolo fu proprio l’ex direttore Giarratano che oggi, insieme all’ex responsabile dell’amministrazione Di Buono, ha risposto alle domande su questo tema. Sostenendo che di quel trasferimento facessero parte solo documenti relativi alla vita dell’associazione a partire dagli anni 2000 e non precedenti e che tutto quello che è stato portato via sarebbe stato indicato in due verbali del 2005.
Infine, a parlare davanti ai giudici è stato anche Michele Tornatore, ex dipendente di Montante, oggi titolare di un ristorante a Caltanissetta. «Mi ero rifiutato di firmare una liberatoria per fare un nuovo contratto di lavoro – ha riferito, rispondendo alle domande del pm Stefano Luciani – A quel punto Montante non accettò il mio rifiuto e mi disse: “Fino a quando io vivrò, tu non lavorerai più da nessuna parte. Farò delle lettere circolari a tutte le aziende con cui ho contatti con cattive referenze su di te”. Non andai avanti con azioni legali perché mi dissero che al 50 per cento in tribunale mi si poteva anche non dare ragione. E quindi, siccome non me lo potevo permettere, ho preferito così».
Tornatore ha confermato in aula anche un altro episodio, ormai noto: «Arrivammo con la macchina davanti l’ingresso dell’albergo Jolly Hotel di Milano e lui mi chiese di dargli una mano per portare su i bagagli. Dissi di chiamare il fattorino visto che la macchina era messa male e lui mi rispose: “No, visto quello che è contenuto nei bagagli preferisco che lo faccia tu”. Una volta arrivati in stanza, mentre io posavo gli altri bagagli, lui infilò la sua valigetta sotto il letto. La borsa si aprì ed era piena di mazzette da 100 e 200 euro. Notò il mio imbarazzo – ha aggiunto il teste – e mi disse che quelli erano soldi che doveva dare a una persona».
Gli imputati col rito ordinario sono l’ex presidente del Senato Renato Schifani, l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito, il caporeparto dell’Aisi Andrea Cavacece, Massimo Romano, Massimo Cuva, il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, il sindacalista Maurizio Bernava, gli imprenditori del settore sicurezza Andrea e Salvatore Calì, Rosetta Cangialosi, Carmela Giardina e Vincenzo Mistretta (tre dipendenti di Montante), il poliziotto Salvatore Graceffa; il dirigente di Confindustria Carlo La Rotonda; il maggiore della Guardia di Finanza Ettore Orfanello; il luogotenente Mario Sanfilippo e il colonnello dei carabinieri Letterio Romeo.
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