Due udienze e la stagione estiva separano gli otto imputati nel processo per la gestione dei laboratori dellex facoltà di Farmacia di Catania dalla sentenza. Stamattina è stata celebrata una nuova seduta – la penultima – dedicata alle difese dei vertici dell’ateneo catanese e del dipartimento di Scienze farmaceutiche. Protagonisti gli avvocati Carmelo Galati (difensore dell’ex preside Giuseppe Ronsisvalle e dei componenti della commissione sicurezza Giovanni Puglisi e Francesco Paolo Bonina) e Giovanni Grasso (per l’ex direttore del dipartimento Franco Vittorio e il medico responsabile Marcello Bellia).
La linea è comune per tutti: non ci sono certezze di una contaminazione, non si può parlare di discarica, tutti operavano per il bene di studenti e personale. Galati, però, aggiunge un particolare: l’edificio 2 della Cittadella, oltre all’ex facoltà di Farmacia, ospita altri tre dipartimenti scientifici (Medicina, Biologia e Scienze matematiche) mai coinvolti nella vicenda. Ma anche in queste strutture si faceva uso di solventi, afferma il legale insinuando il dubbio che lo sversamento possa essere avvenuto anche da altri soggetti. «L’attenzione si è concentrata sempre sul piano terra», spiega. Comunque, rilancia Grasso, «l’ipotesi dello smaltimento nei lavandini, già dalla metà degli anni 90, non ha fondamento». Per l’avvocato «non è possibile ravvisare una contaminazione né una consapevolezza degli imputati» e per quanto riguarda le condotte precedenti agli anni presi in considerazione dal processo (2004-2007) «non abbiamo la possibilità di dedurre cosa sia successo».
Più volte viene tirata in ballo la gestione del procedimento da parte del pubblico ministero che fino a settembre ha sostenuto il caso, Lucio Setola, passato al ruolo giudicante, trasferito a Potenza e sostituito dal collega Giuseppe Sturiale. I capi d’accusa sono definiti «confusi e disarticolati», ma anche le richieste delle parti civili vengono liquidate come «prive di fondamento», «del tutto azzardate» per la mancanza di collegamento tra le condotte in esame e le presunte morti. Secondo Giovanni Grasso una condanna dei suoi assistiti significherebbe incolpare «chi si è impegnato di più». Il docente e il medico, sostiene, «non avevano poteri normativi». L’azione di Franco Vittorio, conclude, è stata tra le più incisive: «L’impegno del professore nel periodo della sua direzione è stato straordinario», racconta il difensore. Che conta anche le pagine allegate agli atti – cinque – che descrivono tutte le azioni portate a compimento dal suo assistito. «Non si può imputargli inerzia – e ripete – Sarebbe ingiusto punire chi si è impegnato di più».
La prossima udienza, venerdì 20 giugno, vedrà la conclusione delle difese. Il 4 luglio la parola tornerà all’accusa e alle parti civili per le repliche. La sentenza arriverà solo dopo la chiusura estiva.
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