Assente durante l’appello al palazzo di giustizia di Catania, nel processo in cui è imputato per concorso esterno a Cosa nostra, ma presente a Paternò nella sala conferenze dell’azienda Netith. Il protagonista è sempre Mario Ciancio Sanfilippo, editore, ex direttore del quotidiano La Sicilia e imprenditore. L’uomo si è presentato in contrada Tre Fontane, accompagnato dal figlio Domenico, per prendere parte a un evento su nuovi modelli di sviluppo del territorio nell’era digitale. Allo stesso tavolo il patron di Netith, il vescovo di Acireale Antonio Raspanti e i vertici locali dell’Arma dei carabinieri. Negli stessi attimi davanti il giudice Roberto Passalacqua sfilava il giornalista, vice direttore di Rai 3 e conduttore di Report Sigfrido Ranucci, chiamato in aula come testimone dai fratelli Dario e Gerlando Montana.
Ranucci venne citato in giudizio insieme a Milena Gabanelli da Ciancio davanti il tribunale civile di Roma dopo l’inchiesta I Vicerè, pubblicata su Report nel 2009. L’editore nel 2012 chiese un risarcimento di 10 milioni di euro ma i giudici non evidenziarono nessun danno nei confronti di Ciancio che, invece, venne condannato a pagare le spese di giudizio. «L’inchiesta era nata perché il Comune di Catania aveva accumulato debiti per circa un miliardo di euro – spiega Ranucci all’avvocato Goffredo D’Antona – Parlammo anche del ruolo dell’informazione in città e, secondo noi, non c’era stato un racconto corretto su politiche e interessi economico-finanziari. Indicammo anche il ruolo in chiaro-scuro di un direttore (Ciancio, ndr) che all’epoca era vicepresidente dell’Ansa e presidente della federazione italiana degli editori».
Durante la puntata un passaggio, durato pochi minuti, riguardò la mancata pubblicazione del necrologio del commissario di polizia Beppe Montana, ucciso il 25 luglio 1985. Vicenda, quest’ultima, finita anche al centro del processo Ciancio. «Lo mettemmo in correlazione al fatto che a ottobre 2008 venne pubblicata una lettera, proveniente dal 41bis, sul giornale. Nel testo c’erano delle lamentele sul carcere duro». L’autore della missiva, nonostante Ranucci in aula abbia indicato Enzo Ercolano, era stato Vincenzo Santapaola, figlio del capomafia della famiglia di Cosa nostra catanese Nitto. «In queste vicende ho ritrovato degli episodi che mi hanno coinvolto. Nel 2000 avevamo realizzato un’inchiesta esclusiva che riportava il contenuto di una cassetta Vhs in cui due giornalisti francesi intervistavano il giudice Paolo Borsellino due giorni prima della strage di Capaci». Jean Pierre Moscardò e Fabrizio Calvi si stavano occupando dei rapporti tra mafia e politica ma la registrazione, della durata di circa 50 minuti, non venne mai pubblicata e la sua esistenza venne svelata soltanto nel 1994 dal settimanale l’Espresso che ne riportò una parziale trascrizione. Il documento completo finì, tramite Fiammetta Borsellino, nelle mani di Ranucci che il 19 settembre 2000 la pubblico nell’ambito di uno Speciale Borsellino su RaiNews24.
«Era l’unica testimonianza inedita – spiega Ranucci – Borsellino parlava del ruolo di Vittorio Mangano e faceva, in maniera generica, i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Ci fu un tentativo di stoppare la pubblicazione da parte degli avvocati di Dell’Utri. Quando noi mandammo a l’Ansa lo sbobinato l’agenzia non la pubblico. Il direttore dell’epoca, che era Roberto Morione, mi disse che c’era stato un’intervento di Ciancio in qualità di vicepresidente dell’Ansa. Io però non ho mai avuto la possibilità di verificare questa cosa», conclude Ranucci. Durante la prossima udienza si proverà a sentire il collaboratore di giustizia Giuseppe Raffa. L’uomo il giorno prima dell’udienza sarebbe stato arrestato impendendo di fatto la sua audizione.
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