«Non c’era purezza in quei baci in bocca». La conferma – semmai ce ne fosse bisogno – che gli abusi sessuali del santone Pietro Capuana non fossero atti purificatori compiuti dalla reincarnazione dell’arcangelo Gabriele, come lui stesso si considerava, è arrivata durante l’udienza di oggi nell’aula bunker di Bicocca.
A dirlo è stata una donna che ha frequentato la comunità di Lavina, nel territorio di Aci Bonaccorsi, molti anni prima che il santone che l’ha guidata per decenni fosse accusato di avere abusato sessualmente di numerose ragazze, con il supporto di tre donne ritenute sue fiancheggiatrici: Rosaria Giuffrida, Fabiola Raciti e Katia Concetta Scarpignato. Dopo un periodo di incontri e riunioni, la donna si sarebbe allontanata dalla comunità perché «avevo visto cose strane, che non mi convinceva. Innanzitutto, quei baci in cui non ho mai visto nulla di puro».
Nell’udienza di oggi si è registrata però anche una clamorosa ritrattazione. La nonna di due ragazzine, che hanno frequentato la congrega dell’associazione cattolica Cultura e ambiente, ha ribaltato quanto affermato nel 2017. Poco più di tre anni fa, aveva dichiarato di essere stata «preoccupata» all’epoca per la partecipazione delle proprie nipotine alla comunità laica. Questa mattina, invece, nelle vesti di testimone del pubblico ministero, oltre a sostenere di non avere mai fatto quelle dichiarazioni, la teste ha avanzato l’ipotesi secondo cui i verbali che le hanno fatto firmare all’epoca gli agenti della polizia postale siano falsi. Accuse gravi dopo le quali la procura ha chiesto gli atti per valutare se procedere con le accuse di falsa testimonianza e calunnia nei confronti della nonna.
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