«Il vero problema della giustizia italiana sono i tempi troppo lunghi del processo». I partecipanti al convegno, che si è tenuto sabato scorso nell’Aula magna della facoltà di Scienze politiche di Catania dal titolo “Processo breve: giusto processo? Intercettazioni e garanzie”, sono tutti d’accordo. Il magistrato Antonio Ingroia, Linda Russo, presidente dell’Asaec – Associazione Antiestorsione Libero Grassi di Catania che ha organizzato l’incontro, e i due professori ordinari di Diritto penale, Guido Ziccone e Salvatore Aleo, al quale è stato affidato il ruolo di moderatore, hanno discusso sulla soluzione del processo breve proposta dal Governo e sulle modifiche della normativa relativa alle intercettazioni.
«Il processo breve renderà la giustizia frettolosa e sommaria, oppure si accorceranno davvero i tempi? Quali sono gli obiettivi di questo procedimento? Esso, insieme con le restrizioni sulle intercettazioni, incide sulla democrazia a favore di una giustizia che non si applica allo stesso modo a tutti i cittadini? Per gli interessi di chi sono nate queste nuove proposte di legge?». Queste le domande con le quali Linda Russo apre il dibattito e alle quali si aggiungono le osservazioni e i dati forniti da Giusy Mascali, avvocato dell’Asaec, che ha ricordato che nel nostro Paese ci sono migliaia di processi e pochi magistrati: in media 700 processi l’anno per ogni magistrato. «In questo contesto – si chiede la Mascali – che significato assume il procedimento sul processo breve?» E aggiunge: «Questa legge creerà una terza categoria di imputati: oltre ai colpevoli e agli innocenti, ci saranno i non giudicati; e soprattutto alcuni processi importanti non avranno colpevoli, come quelli Parmalat, Cirio, Eternit, BNL e Antonveneta. La vera riforma sarebbe investire nel comparto giustizia».
La parola passa al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che afferma con chiarezza: «Un male grave, come i tempi lunghi della giustizia, può diventare incurabile se il rimedio è quello sbagliato. Il processo breve non garantisce la brevità del processo e costituisce una medicina con effetti peggiori del male. Il risultato sarà negativo per tutti e farà aumentare il divario tra l’aspettativa del cittadino di avere una sentenza in tempi ragionevoli e la sfiducia che esso ripone nei confronti della giustizia, perché le aspettative non verranno soddisfatte».
Ingroia ha evidenziato alcuni dei problemi che rendono lungo il lavoro dei magistrati e pesante il sistema giustizia: «Ci sono in giro favolette sui magistrati fannulloni, ma la verità è che c’è una carenza di organico enorme negli uffici giudiziari, in particolare del sud: a che serve fissare un tempo se i magistrati non ci sono e i processi non si possono fare? Bisogna ragionare sui tempi entro i quali il processo penale può ragionevolmente concludersi e attuare una serie di interventi, alcuni semplici altri più complessi, che abbiano l’obiettivo di restituire un processo giusto ed efficace ai cittadini».
«Per esempio – continua il magistrato – si potrebbe abrogare e sospendere l’applicazione della legge Mastella che impedisce ai magistrati di prima nomina di andare in procura. È una legge sbagliata perché si fonda sulla considerazione errata secondo la quale un giudice alle prime armi non è in grado di svolgere certi compiti: abbiamo invece casi di giovani magistrati che hanno fatto un ottimo lavoro, come Livatino».
E tornando sul processo breve dichiara: «Siamo di fronte ad un’evidente “truffa delle etichette”, perché la denominazione del procedimento serve solo ad illudere il cittadino. In realtà si dovrebbe chiamare “Legge della morte breve del processo”, perché porterà a sentenze che non potranno dare giustizia. Noi magistrati allargheremo le braccia dicendo di non esserci arrivati e così crescerà la sfiducia del cittadino nei confronti della giustizia e delle istituzioni».
Il Pm si è rifiutato di discutere sulla finalità ad personam della legge, ma ha affermato che «è evidente che essa non fa l’interesse dei cittadini. Gli imputati che avranno i mezzi per allungare i processi saranno cittadini di serie A che non verranno giudicati, mentre per quelli di serie B i processi saranno brevi, e ciò renderà la giustizia sempre meno uguale per tutti».
Riguardo alla riforma sulle intercettazioni, Ingroia ha evidenziato che «è in sintonia con quella sul processo breve. Parte dalla bufala mediatica sull’applicazione esagerata dell’intercettazione, secondo la quale siamo tutti costantemente controllati e violati. Semmai è vero che vi è una pubblicazione illecita di ciò che le intercettazioni rivelano. Il rimedio però non è abolirle, ma prevedere meccanismi operativi che ne tutelino davvero il segreto».
Secondo Ingroia la nuova legge è finalizzata a ridurle in modo drastico, fino a cancellare il presupposto dell’intercettazione stessa: infatti, perché il Gip le autorizzi non basteranno più i “gravi indizi di reato”, ma si renderanno necessari “gravi indizi di colpevolezza”. «Il punto – dice – è che se fossi in possesso di gravi indizi di colpevolezza non mi servirebbero più le intercettazioni: a quel punto chiederei direttamente l’applicazione di misure cautelari». E aggiunge: «L’intercettazione è un mezzo di ricerca della prova, non serve se la colpa è già stata accertata: questa legge perciò ne rovescia il senso e la rende inutile».
A chi obietta che tanto il provvedimento non toccherà i procedimenti per mafia il procuratore replica che «non è vero, perché molto spesso le indagini per mafia nascono da indagini per reati cosiddetti satellite, che con essa non hanno apparentemente a che fare. Inoltre si potranno intercettare i mafiosi già noti; la legge inficerà quindi la possibilità di scoprire gli appartenenti alla borghesia mafiosa che con la mafia fa affari».
«E anche per quanto riguarda i reati prettamente mafiosi – precisa Ingroia – ci sono dei limiti che influiscono negativamente, come nel caso dell’estorsione: non si potrà mettere, per esempio, sotto intercettazione la parte offesa senza il suo consenso, il che è assurdo, visto quanto è difficile per le vittime del racket denunciare e vista la paura su cui giocano gli estortori».
A un giovane studente del liceo Spedalieri di Catania che gli chiede come mai, se il problema della lentezza dei processi caratterizza da anni il nostro sistema, la proposta del processo breve è stata presentata solo adesso, Ingroia replica: «È difficile rispondere a questa domanda, o meglio, è facile: si potrebbe fare riferimento al fatto che l’esigenza è nata dopo che la Corte Costituzionale ha annullato il Lodo Alfano, ma non voglio parlare di questo. Il problema dei tempi lunghi della giustizia c’è, il punto è se lo si vuole risolvere. Tutte le riforme finora lo hanno appesantito ulteriormente e si è cercato di scaricare sulla magistratura le colpe di una giustizia inefficiente. Con queste riforme si vogliono lasciare i magistrati più disarmati e i cittadini indifesi. Io non so a chi possa fare bene tutto questo».
La parola passa poi all’avvocato Ziccone, senatore del gruppo di Forza Italia fino al 2008 che – abbandonato il ruolo di difensore d’ufficio che avrebbe dovuto assumere nel dibattito a fianco dell’onorevole Angela Napoli, membro della Commissione antimafia, assente per motivi di salute – afferma: «Il principale male della giustizia è la lentezza. Purtroppo, però, si cerca di attuare provvedimenti che non affrontano e non risolvono il problema e che sono ispirati da interessi personali».
«Si abbandona la giustizia – continua il penalista – se ci si allontana dai principi di equità, ragionevolezza e bene comune. Per esempio, la distinzione che la legge sul processo breve attua tra i reati non è equa. Quale processo andrà più velocemente e quale no diventa una scelta discrezionale e questo va contro il principio di uguaglianza. Il provvedimento, quindi, così com’è non serve a niente e non lo varerei, ma in linea di principio è giusto perché il problema dei tempi della giustizia va eliminato».
All’onorevole Napoli si è comunque rivolto l’avvocato Enzo Guarnera, legale catanese che difende i collaboratori di giustizia e per questo nel mirino di Cosa nostra, che ha ricordato che non ci sono riforme organiche nel sistema della giustizia almeno da quando fa l’avvocato, e cioè da trentacinque anni. E ha sottlineato come le modifiche, «concepite senza prendere in considerazione l’interesse della collettività, siano state parziali e prive di organicità ed abbiano creato un sistema rattoppato». «È chiaro – afferma Guarnera – che la nostra classe politica non è in grado di fare un tipo di riorganizzazione organica, e proprio alla luce di tutte le riforme inadeguate che si stanno cercando di attuare, avrei una domanda per l’onorevole Napoli».
«La relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica segreta P2 – prosegue l’avvocato – approvata il 12 luglio del 1984, afferma testualmente che essa “si delinea come una complessa struttura dedita ad attività di indebita, se non illecita, pressione e ingerenza sui più delicati e importanti settori, ai fini sia di arricchimento personale, sia di incremento di potere, tanto personale quanto della Loggia. Questa ramificata azione, perturbatrice dell’ordinato svolgimento delle istituzioni e degli apparati, interessava i campi più svariati della vita nazionale: dalla politica, all’economia, dall’editoria ai ministeri”. E più avanti continua: “tale finalità non solo era conosciuta dagli aderenti, ma si poneva come motivo primo della loro adesione all’associazione.” E ancora che “il fine ultimo dell’organizzazione risiedeva nel condizionamento politico del sistema.” Avrei chiesto all’onorevole Napoli se non prova disagio a stare in una maggioranza della quale il capogruppo era iscritto al fascicolo 0625, tessera n. 1816, di quella Loggia, e ai presenti chiedo quali riforme pensiamo sia possibile attuare in questo paese se coloro che ci governano non hanno abbandonato le suddette finalità».
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