Avrebbero avuto la possibilità di alterare atti giudiziari, con l’obiettivo di favorire frodi fiscali e bancarotte fraudolenti. È questa l’accusa che le procure di Roma e Messina rivolgono a 15 persone raggiunte oggi dalle ordinanze di custodia cautelare emesse dai tribunali della Capitale e del capoluogo peloritano. Tra le persone coinvolte anche l’ex presidente aggiunto del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio, l’ex sostituto procuratore di Siracusa, Giancarlo Longo, e gli avvocati aretusei Piero Amara – ritenuto la regia del sistema – e Giuseppe Calafiore. Per Virgilio, accusato di corruzione in atti giudiziari in concorso con i due legali, il gip ha rigettato la richiesta di arresto per assenza di esigenze cautelari.
Tanti gli affari al centro dell’inchiesta. Tra essi anche le vicende legate alla disputa sul centro commerciale Open Land di Siracusa ma anche la discarica Cisma di Melilli. Le Fiamme Gialle stanno effettuando perquisizioni domiciliari nelle abitazioni degli indagati.
Le custodie cautelari sono state eseguite dalla guardia di finanza, che si è occupata delle indagini. Dalla Capitale è partito l’ordine di trasferimento in carcere per Piero Amara, 48 anni, e l’avvocato Fabrizio Centofanti, 45 anni. Ai domiciliari invece il 38enne Giuseppe Calafiore, il 54enne Ezio Bigotti, e il 77enne Luciano Caruso. Il tribunale di Messina ha disposto l’arresto – oltre ai già citati Amara e Calafiore – anche del magistrato Longo, che venne denunciato da otto colleghi e che avrebbe cercato di interferire con le indagini andando alla ricerca di una cimice nella propria stanza. In carcere va anche il 46enne Alessandro Ferraro, mentre ai domiciliari il 72enne Giuseppe Guastella, il 32enne Davide Venezia, il 60enne dirigente regionale Mauro Verace, il 39enne Salvatore Pace, il 44enne Gianluca De Micheli, il 73enne Vincenzo Naso, il 54enne Francesco Perricone e il 43enne Sebastiano Miano.
Sul conto del magistrato, nell’ordinanza di custodia cautelare si legge che «Longo usava le prerogative a lui attribuite dall’ordinamento per curare interessi particolaristici e personali di terzi soggetti dietro remunerazione». I fatti oggetto di indagine vanno dal 2013 ai primi mesi dello scorso anno. Gli inquirenti hanno diviso le condotte illecite dell’ex sostituto procuratore di Siracusa in tre categorie: fascicoli specchio, che il magistrato «si autoassegnava al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti», fascicoli minaccia in cui «finivano per essere iscritti soggetti ostili agli interessi di alcuni clienti di Calafiore» e infine fascicoli sponda, «che venivano tenuti in vita al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara».
Il giudice, parlando delle azioni del magistrato, scrive inoltre che «svendeva la propria funzione, concorreva alla redazione di atti pubblici ideologicamente falsi, si faceva corruttore di altri pubblici ufficiali, con piena accettazione da parte degli stessi, che venivano per giunta da lui remunerati con soldi pubblici». Longo avrebbe inoltre avuto una «rete di rapporti dall’origine oscura e privi di apparente ragion di essere oltre che, in certi casi, contraria ai più elementari principi di opportunità». Tra i benefit ricevuti da Longo ci sarebbe stato anche il pagamento di un viaggio a Dubai con moglie e figli, un capodanno al Grand Hotel Vanvitelli a Caserta e 80mila euro in contanti.
Ma il nome del magistrato ricorre in numerosi passaggi dell’ordinanza. Compresa quello riguardante sul presunto complotto ai danni dell’Eni. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Longo – su suggerimento di Amara, che era legale dell’Eni – avrebbe avviato un’indagine su un falso piano di destabilizzazione della società petrolifera e del suo amministratore delegato Claudio Descalzi. Il tutto con l’intento di rallentare le indagini su Descalzi, coinvolto in un’inchiesta riguardante presunte tangenti in Nigeria. Una messinscena, quella pensata dagli indagati, in cui ha trovato spazio anche un presunto sequestro denunciato da Ferraro, tra gli arrestati di oggi e collaboratore di Amara. Longo si è occupato di indagare su questi indagati, ma solo con l’intento di mettere a conoscenza Eni dei particolari dell’inchiesta a suo carico. A sostenere l’ipotesi del complotto era stato Massimo Gaboardi, tecnico petrolifero, che ha parlato di un piano per costringere Descalzi a farsi da parte, per poi sostituirlo con Umberto Vergine, amministratore delegato di Saipem. In realtà però, secondo gli inquirenti, Gaboardi sarebbe stato pagato da Ferrara per rendere false dichiarazioni. In questa storia, Longo avrebbe continuato a mettere le mani nell’inchiesta anche nel momento in cui era stata disposta la trasmissione degli atti alla procura di Milano, che stava indagando sulla presunta corruzione internazionale che vedeva coinvolta Eni.
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