Prištine stanice

Dal sedile di plastica della sala d’attesa dell’aeroporto di Milano Malpensa, con un libro aperto sul mio ginocchio destro, contemplo, nel silenzio che può creare un rumore che non mi riguarda, il movimento di uomini e donne, vecchi, bambini, occhi, sorrisi, bronci e seni danzanti. Prendo il libro in mano, e nell’attesa dell’aeromobile in ritardo, brucio capitoli su capitoli di “La vita davanti a sé”, titolo inopportuno quando si ha da aspettare, romanzo straordinario per far scorrere il tempo senza accorgersene. L’aereo che infine arriva mi trasporta in poche pagine in una Praga serale imbiancata da una sottile e persistente neve punzecchiante. Il taxi su cui sono salito si avvia slittando sulla soffice superficie bianca, ma la sicurezza dell’autista diventa la mia e quando dopo pochi minuti raggiungo il mio hotel di periferia, capisco di avere riposto bene la mia fiducia.

Una doccia e il mio primo approccio a una città che finora ho solo sfiorato è d’obbligo. La metropolitana è soprattutto la possibilità di raggiungere in pochi minuti il centro, ma è anche la prima vera esperienza di vita locale, il primo incontro con delle persone indifferenti alla tua sporadica presenza nella loro esistenza. È il primo incontro con la tua diffidenza, il primo stringere il portafogli davanti al primo sguardo che stancamente si posa all’altezza del tuo petto, il primo respiro acre di città vera, di città che esiste a dispetto dell’improbabilità del medesimo appellativo appiccicato al luogo da cui tu provieni. Mi accomodo sulla poltrona arancione di fronte ad una donna anziana ma sportiva, che regge con la mano sinistra una coppia di sci che hanno l’aria di essere stati usati tutto il giorno, e io “giovane” trentunenne so di avere un’aria molto più stanca della sua, solo per avere vissuto qualche ora seduto, ad attendere di giungere nella città in cui lei consuma i suoi anni. Ho la mia cartina in mano e so di dover aspettare 5 stazioni prima di giungere a Piazza Venceslao, quindi mi dispongo teso a guardare dal finestrino lo scorrere dei nomi impronunziabili delle tappe intermedie. Mi accorgo nell’istante in cui partiamo da ogni stazione, che da un altoparlante una voce femminile ripete una locuzione incomprensibile seguita da qualcosa che mi sembra assomigli al nome del luogo che raggiungeremo subito dopo. Finora con tassisti e portinai ho parlato inglese, stavolta l’idioma locale irrompe nell’ambito delle mie percezioni e una frase, la prima che realmente comprendo, mi rimane infine impressa nella memoria: “Prištine Stanice”, prossima stazione.

Sono le uniche parole che di questa lingua ho imparato dall’inizio del mio viaggio, il resto l’ho fatto tutto in inglese, ma ogni passo che ho mosso è stato scandito dalla sospensione propria di questa locuzione. Prištine stanice… piazza Venceslao, prištine stanice… l’orologio astronomico, prištine stanice… il rintocco delle ventuno, e così via fino all’assaggio di un meraviglioso stinco di maiale, consumato assieme a due birre, una chiara e una bruna, in un ristorantino del quartiere ebraico. Pancia piena e mente annebbiata, mi insinuo nell’intrico di stradine che mi portano al ponte Carlo, il luogo degli innamorati che io, cavaliere solitario, contemplo con un sorriso che vuol sembrare sarcastico, ma che tuttavia nasconde una sottile e lucida amarezza. Mi fermo ad ascoltare un orchestrina Dixie, composta da vecchi e giovani, tutti col volto tipico del boemo allegro, e ascolto le musiche del Mississipi che accompagnano lo scorrere della Moldova. Li ritrovo anche di giorno a piazza Týn, quasi avessero deciso di tenermi compagnia, di fare da colonna sonora al mio viaggio di cultura e introspezione, quasi consapevoli dell’effetto vitalizzante del loro suonare sui miei sensi amplificati dall’inconsueto freddo. Si è infatti inevitabilmente tesi quando il gelo esterno entra in competizione con la tua temperatura corporea, e i tuoi sensi sono acuiti dalla ricerca di qualunque sistema per raggiungere una salutare isotermia. Le calorie degli abbondanti pasti a cui mi dedico con entusiasmo, mi fanno correre indifferente tra una stazione e l’altra di una Via Crucis alla rovescia, una passione senza sofferenza, una scoperta della mia dimensione di uomo in mezzo agli uomini. Il silenzio della mia voce che non ha interlocutore, mi invita ad inventare i pensieri delle persone che incrocio, ad immaginare dai loro sguardi, dalla velocità del loro passo, dall’odore che da essi promana, le loro intenzioni per il resto della giornata o per il resto della loro vita. Praga nel frattempo penetra dentro di me, come il sapore del suo cibo, l’aroma della sua birra, la bellezza delle sue donne, l’incanto delle sue luci. Tornerò in compagnia, per raccontare queste mie emozioni a qualcuno di importante e per assimilare attraverso gli occhi di una persona speciale, l’ansia di scoprire cosa mi riserverà la mia “Prištine Stanice”.

Gianni Raniolo

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