Prima marcia degli indipendentisti siciliani I movimenti guardano all’esperienza veneta

«Da questo viaggio ho capito che anche qui in Sicilia lo Stato è ladro e truffatore, pure più che in Veneto. I siciliani non ci credono, ma io rispondo che l’indipendenza non bisogna chiederla, bisogna prendersela». Così Mario Sandrin, uno dei promotori del referendum per l’indipendenza del Veneto, ieri in visita a Catania, indica la strada ai movimenti indipendentisti siciliani. Tanti, frammentati e per lo più in contatto attraverso il web, con poca presenza sul territorio. Punti deboli riconosciuti dagli stessi protagonisti che per oggi hanno organizzato la prima marcia per l’indipendenza siciliana a Palermo.

Il primo momento collettivo di un percorso inaugurato con la creazione dell’Unione indipendentisti siciliani, «un movimento che non è politico né elettorale, ma fatto di gruppi e singoli», spiega Santo Trovato, presidente di Sicilia in Movimento, tra gli aderenti. Che alla vigilia della marcia hanno voluto la presenza di un rappresentante di Plebiscito.eu, la piattaforma web sulla quale si è svolta la votazione per l’indipendenza del Veneto dallo Stato italiano. «Un plebiscito online perché questo è uno spazio non ancora regolato da uno Stato vecchio – spiega Sandrin – E sulla quale è in corso la certificazione da parte dei commissari internazionali». Il risultato, secondo gli organizzatori, sarebbe di un sì schiacciante a fronte di due milioni e mezzo di votanti. Numeri contestati da più parti, sulla base di analisi più o meno scientifiche che Sandrin rimanda tutte ai mittenti.

«Credo che ognuno debba trovare la sua strada – continua l’esponente separatista veneto – Qui in Sicilia la difficoltà potrebbe derivare dal fatto che molta parte di economia siciliana dipende dall’assistenzialismo». Una teoria, quella del Nord produttivo e del Sud assistito, che non convince nemmeno gli stessi indipendentisti locali. «Ho fatto i conti e, dalla mancata applicazione dello statuto autonomista, lo Stato ruba alla regione ogni anno più di 20 milioni di euro di tasse», spiega Santo Trovato. Per il quale il problema è più politico-sociale. «Il Veneto, come la Catalogna in Spagna, ha vissuto un periodo di forte economia senza dipendere dallo Stato. In un momento di crisi come questo ci si è chiesti “Ma devo lavorare per Roma?” – continua – Noi abbiamo la metà della popolazione sotto il ricatto clientelare del sistema politico-mafioso. Bisogna lavorare su quanti alle scorse regionali si sono astenuti oppure hanno votato il Movimento 5 stelle per protesta».

Nessun dialogo con la destra e nemmeno con la sinistra, «che da sempre pensa alla chiusura delle fabbriche in Piemonte piuttosto che alla Sicilia». «E a noi che cazzo ce ne frega?», si sente urlare dalla sala tra qualche applauso e diverse risate. Nessun dialogo nemmeno con i sindacati, almeno secondo l’esperienza veneta, «perché questi signori, pagati dallo Stato per protestare, si sentono delegittimati», aggiunge Sandrin. Gli organi di informazione meglio non nominarli nemmeno, tanto in Sicilia quanto in Veneto. «Ci hanno preso in giro fino ad ora, ma adesso siamo due milioni, non abbiamo bisogno di loro».

E mentre sulla possibilità di creare una confederazione di stati regionali liberi Sandrin resta vago, le manifestazioni di stima e affetto non si fanno attendere al momento dello scambio delle bandiere: il gonfalone di San Marco da parte dei Veneto e la bandiera che raffigura la Trinacria da parte della Sicilia. Due regioni finora legate dallo stereotipo di un’antipatia reciproca. «Le ideologie le dobbiamo lasciare nel secolo scorso, qui servono gli ideali – conclude Mario Sandrin – Non c’è nessun popolo contro l’altro, anche se ci hanno provato».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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