«Mi hanno fatto scrivere due righe…che cosa sono queste due righe…al presidente…aah!». A pronunciare questa frase è Vincenzo Scarantino. È una telefonata, intercettata e registrata sul nastro AG 06_95 lato B. È lui che sta chiamando dalla sua casa protetta a San Bartolomeo al Mare, la telefonata è indirizzata alla questura di Palermo, dove chiede di poter parlare con Mario Bo. All’epoca dirigente del gruppo investigativo Falcone-Borsellino, Bo è oggi sotto processo insieme a due altri ex funzionari del pool, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, con l’accusa di aver avuto un ruolo nella creazione e manipolazione di quello che passerà alla storia come il finto pentito della strage di via D’Amelio. I tre, infatti, devono rispondere davanti alla corte d’assise di Caltanissetta di calunnia aggravata. Lo stesso reato contestato a due magistrati dell’epoca, Carmelo Petralia (procuratore aggiunto a Catania) e Annamaria Palma (avvocata generale a Palermo), iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Messina.
Che cosa significa quella frase di Scarantino? Cosa sono quelle «due righe» di cui non sembra sapere molto nemmeno lui? Il funzionario che prende quella telefonata non sa cosa dire, sembra non sapere neanche lui a cosa si stia riferendo, «non so, non ne so parlare di questo fatto». Scarantino sta cercando di parlare con Bo proprio per chiedere chiarimenti a lui. «Gli ho fatto sapere io che se debbo andare là a processo, mi devono venire a prendere quelli che mi sono venuti a prendere la prima volta a Pianosa, altrimenti non ci vado», dice al funzionario. Devono essere gli stessi, «che io sto tranquillo…Venendo con queste persone mi sento più sicuro…per altre cose». Ma quindi «è per questo discorso qua?». «Per rispondere alle domande del presidente…perché non si sa che devo rispondere alle domande del presidente?». L’uomo all’altro capo della cornetta per un attimo appare titubante: «Eh non lo so…va be! Forse è prassi! – replica -. Se te l’hanno fatto scrivere…si vede che la prassi è questa qua». È dubbioso, però, non riesce a capire con esattezza di cosa stia parlando l’allora collaboratore. E gli chiede di chiamare di nuovo la mattina dopo, nella speranza di riuscire a parlare con Bo e chiedere direttamente a lui. Ma Scarantino si congeda chiedendo solo di riferire la sua richiesta, quella cioè di essere prelevato dagli stessi uomini venuti a Pianosa. Ma perché questa richiesta? Cosa significa?
E cosa sono, poi, quelle due righe che ha scritto senza nemmeno saperne il motivo e l’utilità? In che modo gli sarebbero servite per il processo in cui avrebbe dovuto parlare? Dopo qualche minuto, Scarantino richiama di nuovo in questura e chiede di poter riparlare col funzionario sentito prima. Il collaboratore insiste, vuole capire cosa sia quel foglio che gli hanno fatto firmare. Si sente una voce di donna in sottofondo, e subito dopo il funzionario gli spiega finalmente che si tratterebbe del foglio con cui Scarantino dichiara che intende partecipare al processo e rispondere alle domande che gli verranno fatte. E lo invita a stare tranquillo. Scarantino però comincia a lamentarsi e sbotta dicendo che La Barbera ormai si è dimenticato di lui. E chiede ancora una volta di parlargli, ma il funzionario replica che «non so se può parlare al telefono» e che non si troverebbe nemmeno a Palermo. «Sì…America!», esclama per tutta risposta il collaboratore, dando l’impressione di non credere a quanto riferitogli. Ma Scarantino non chiama solo in questura chiedendo ora di Arnaldo La Barbera ora di Mario Bo, che, in particolare, cerca con una certa frequenza. Impressi su quei nastri al vaglio della procura di Messina e di quella nissena ci sono anche quelle a due magistrati che investigarono su via D’Amelio.
«Scarantino, ci dobbiamo tenere molto forti perché siamo alla vigilia della deposizione». Questa è una delle frasi emerse da quelle intercettazioni. A parlare così al collaboratore è il pm Petralia in una conversazione datata 8 maggio ’95. «Noi verremo sicuramente giovedì, ci saranno anche il dottore Tinebra e probabilmente anche il dottor La Barbera, quindi tutto quanto lo staff delle persone che lei conosce e…lei potrà parlare con Tinebra, con La Barbera di tutti i suoi problemi – diceva il pm – così li affrontiamo in modo completo e vediamo di dargli una soluzione e contemporaneamente iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento, mi sono spiegato Vincenzo? Si sente pronto lei?». Scarantino replica di sentirsi tranquillo. «Se ci sono delle difficoltà per qualcosa…mi diceva la collega (Palma ndr)…il posto dove normalmente ci siamo visti a lei non va bene…c’è un motivo specifico che lei mi può spiegare? … Se ci sono poi specifiche di cui parlare di persona e non con il telefono ci vediamo giovedì e le affrontiamo…noi probabilmente ci fermiamo anche venerdì, così abbiamo ampio spazio per affrontare tutti i discorsi, le cose che c’ha…i suoi pensieri, le sue preoccupazioni se ne faccia un bell’elenco preciso così li affrontiamo tutti una volta per tutte perché poi non dobbiamo più averne…mi sono spiegato?».
È l’ex collega Palma che tenta, oggi, di spiegare davanti ai giudici di Caltanissetta quelle frasi: «Non c’è nessun significato di un qualche suggerimento, ma alludeva allo spiegare a un collaboratore che entra per la prima volta in un’aula di giustizia in quelle vesti cosa accadrà – dice -, è prevista una preparazione, termine infelice, perché non si tratta di suggerire niente. Come si svolgerà il dibattimento, chi si troverà davanti, queste cose. Non c’è nessuna norma che vieti la cosiddetta preparazione, si fa ancora oggi. Scarantino altrimenti non si sarebbe lamentato delle contestazioni poste, se le avesse conosciute prima, la genuinità del collaboratore si vede anche da questo». Sì perché lei e quel collega, entrambi registrati su quei nastri, all’epoca ritenevano Scarantino un collaboratore credibile. Anche se qualche tentennamento sembra esserci stato, invece, da parte di lui. Tentennamento rimasto impresso in una delle telefonate che Scarantino fa proprio ad Annamaria Palma. «Non sto bene, sono nervoso», le dice subito al telefono. «Io non voglio stare con questi di Palermo, dottoressa…Con chiunque, ma con quelli di Palermo no». «Ma non sono sempre gli stessi.. Sono quelli che la conoscono!», replica lei, perplessa. Persone con le quali, a detta di Scarantino, ci sarebbero state discussioni per quanto riguarda il telefono e la luce. E insiste che vuole stare con la gente del posto in cui si trova. È questo quello che resta impresso in un altro nastro, l’AG 02_95 lato B, prima di fare quella telefonata in questura e dire quelle cose al funzionario di turno con cui si trova a parlare.
Ma come fa Scarantino ad avere il numero di Palma e Petralia? E perché, esattamente, li contatta? «Probabilmente il procuratore Tinebra diede i nostri numeri a Scarantino, io non lo accettai di buon grado, non era piacevole ricevere continue lamentele, per questioni di soldi o questioni logistiche – spiega Palma ai giudici di Caltanissetta -. Non ha mai parlato di ripensamenti. Era un personaggio psicologicamente labile e forse per questo Tinebra gli diede i nostri numeri, un fatto che noi non abbiamo apprezzato. Non era inusuale comunque che un collaboratore chiamasse un magistrato se non parlava di atti processuali». È sempre lei che, durante una conversazione telefonica, gli spiega quanto sia importante che lui collabori anche con Palermo, perché in caso contrario il lavoro sarà tutto perso e lo esorta quindi a rispondere alle domande che gli verranno rivolte dalla dottoressa Sabatino. Spiegandogli che se Palermo si indispone, Scarantino non verrà più sentito da quella procura che è competente per tutti gli episodi a esclusione di uno per cui procede Caltanissetta. Lui risponde che ha paura di andare a Genova, che ci sono delle persone che dovrà incontrare che a lui non piacciono, specificando che si tratta di individui che sono in quell’ufficio.
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