Venerdì mattina poco più di un centinaio di studenti ha partecipato allo sciopero della scuola, indetto dai Cobas, contro il Ddl Gelmini. Solo le scuole superiori sono scese in piazza, assenti i licei della città (ad eccezione di una rappresentanza del Vaccarini).
L’assunzione stabile dei precari, la cancellazione dei tagli d’orario, il recupero degli scatti di anzianità, i posti di lavoro: questi i temi sui quali il mondo della scuola pone l’accento.
Al corteo, partito da piazza Università per concludersi in Prefettura, hanno preso parte alcuni docenti e Ata (precari e non) e pochi ricercatori. Ma Gianni Piazza, ricercatore della facoltà di Scienze Politiche, tiene a precisare: «Il mondo della ricerca si è riunito ieri, facendo sentire la propria voce attraverso dibattiti e lezioni, proprio in questa piazza».
«Quello che chiediamo al ministro Gelmini non è solo un aumento delle risorse finanziarie – continua Piazza – ma soprattutto più qualità nella gestione degli atenei: chiediamo una governo democratico. Questo ddl porterà all’accentramento del potere dei rettori e degli ordinari, senza contare l’ingerenza dei privati nei c.d.a. Vogliamo un cambiamento nel reclutamento del personale accademico: si al merito, no alla tripartizione in ordinario, associato e ricercatore (in altri paesi europei esiste il full professor e l’associate professor). Se la situazione rimarrà invariata noi saremo l’ultima generazione di ricercatori con un contratto a tempo indeterminato: quelli che verranno rimarranno senza una copertura finanziaria».
Sono in diecimila a rendersi indisponibili per il nuovo anno accademico. E credono che lo slittamento dell’approvazione del ddl, posticipato alla prossima approvazione di bilancio sia anche il risultato della protesta.
Facciamo un giro intorno alla piazza, incontriamo una bidella che racconta la sua travagliata esperienza lavorativa: «Non lavoro più da due anni, dall’anno scorso sono stata inserita nel decreto salva precari, ma ho lavorato soltanto tre giorni. Dopo 25 anni di graduatoria e 6 anni di servizio sono rimasta con un pugno di mosche in mano».
Con preoccupazione accenna alla figlia, matricola universitaria: «Le tasse sono aumentate, è costretta a lavorare per mantenersi gli studi. Non posso credere che in un Paese dove viene meno il diritto al lavoro e il diritto allo studio, si pensi ad organizzare un corso di educazione alla guerra…».
Gli insegnanti hanno mille motivi per protestare. Si parla di dequalificazione professionale, perché ci si avventura ad insegnare materie apprese all’università e mai più toccate. Gli orari curriculari sono stati ridotti, ma i programmi rimangono invariati. Persino gli scatti d’anzianità sono stati bloccati. E poi c è l’odissea dei precari.
In vista dell’arrivo di Berlusconi a Catania il 19 ottobre, che parteciperà all’assemblea dell’Upi (Unione province italiane), è prevista una manifestazione popolare che partirà alle 9 da piazza Roma.
Chissà se i ricercatori sventoleranno in quell’occasione lo striscione «Se tu ce li hai i capelli lo devi anche alla ricerca», già apparso in altre manifestazioni.
Foto di Fernando Vespa
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