Portopalo, nave fantasma: prima strage dei migranti Pescatore che denunciò: «Fui costretto a trasferirmi»

«Quella notte fra il 25 e il 26 dicembre del 1996, i pescherecci erano fermi. C’era aria di tempesta e siamo andati al porto a rinforzare gli ormeggi. Non sapevamo cosa stava succedendo a 20 miglia dalla costa». È Salvatore Lupo, ex pescatore di Portopalo di Capo Passero, piccola realtà marittima in provincia di Siracusa, a raccontare come la sua storia si sia legata a quella di uno dei più tremendi naufragi di migranti registrato nel Mediterraneo. In acque internazionali, nel Canale di Sicilia, quella notte una nave venne speronata e affondata da un’imbarcazione maltese. A perdere la vita furono 283 persone provenienti dallo Sri Lanka, dall’India e dal Pakistan.

«Quando si è ritornati a pescare, dopo pochi giorni di festività natalizie – ricorda Lupo – molti dicevano di aver “pescato tonni”. Io inizialmente non capivo a cosa facessero riferimento, poi ho realizzato che era il nome in codice per i cadaveri in decomposizione». Nessuno dei pescatori denunciò i ritrovamenti né gli avvistamenti, per il timore di dover interrompere la sua attività a causa degli inevitabili controlli del caso. Così tutti decisero di tacere e i cadaveri furono ributtati in mare. «In paese lo sapevano tutti – continua l’ex pescatore – dall’allora vicesindaco alle autorità locali marittime e politiche, ma nessuno fece segnalazioni ufficiali o prese altri tipi di provvedimenti e, passato qualche giorno, non si parlò più della nave fantasma».

Per molto tempo questa vicenda rimane sommersa insieme al relitto e ai corpi delle vittime. Tutto questo fino al 2001. «Durante una battuta di pesca, mentre uscivo con la prua verso Malta – ricorda Salvo Lupo – la mia rete a strascico viene semidistrutta dall’impatto con un ostacolo sottomarino ed è riemersa portando con sé pezzi di legno, alcune piccole ossa umane e resti di abiti. Capii subito di cosa si trattava». Fra gli stracci, c’era anche una tessera di riconoscimento, ben conservata sotto la plastica, con la foto di un ragazzo molto giovane dalla pelle scura. «La cosa mi colpì molto – racconta commosso Lupo – perché il ragazzo della tessera aveva la stessa età di mia figlia. Pensai subito che quel ragazzo morto nel mio mare, da qualche parte doveva avere dei genitori che stavano aspettando sue notizie. Mi segnai le coordinate del relitto che, in realtà, erano note a molti come “il luogo da evitare” e, tornato a terra, provai a segnalare il fatto alle autorità che, però, non fecero nulla». 

Nel giugno di quello stesso anno, sarà il giornalista Giovanni Maria Bellu ad accertare che il proprietario del documento era Anpalagan Ganeshu, un ragazzo srilankese di etnia tamil di soli 17 anni, mentre una videocamera subacquea mostrerà il relitto del F174 e i resti umani avvolti negli stracci. «A Portopalo per me l’aria era diventata troppo pesante. Molti avrebbero preferito che questa storia restasse seppellita nel fondo del mare e, così, ho dovuto smettere di fare il pescatore – ammette Lupo, che adesso vive a Livorno e lavora nella navigazione commerciale -. Era un lavoro in cui mi identificavo – spiega -. Nella mia famiglia siamo pescatori da generazioni e mi sarebbe piaciuto poterlo lasciare anche in eredità ai miei figli».

Mentre il relitto e i cadaveri sono ancora nel fondo fangoso del Canale di Sicilia, nonostante i fondi europei stanziati per il recupero, nel paese più a Sud d’Italia Salvo Lupo ha deciso di aprire il bed and breakfast Nave Fantasma nella casa dove abitava all’epoca. «È un modo per restare legato alle mie radici, ma soprattutto per non dimenticare questa storia e raccontarla a chi arriva come nostro ospite», precisa. 

Dopo 20 anni da quella tragedia continuano i viaggi dei migranti a bordo delle carrette del mare e il Mediterraneo continua a fare da cimitero. «Vietare a queste persone il diritto di migrare – commenta l’ex pescatore – equivale ad agevolare le mafie e i trafficanti di esseri umani che si arricchiscono su queste tragedie. L’errore più grande della politica – conclude – è fare di queste persone i capri espiatori di tutti i mali che affliggono l’Italia».

Marta Silvestre

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