PORNOGIUSTIZIA! #3

Rientrò a casa dopo una giornata di lavoro durissima. Era rientrato a piedi, in mezzo alle strade piene di gente, in mezzo alle vetrine piene di merci, in mezzo ai videoterminali sempre accesi, alla musica di plastica che suonava sempre, dappertutto, dovunque, comunque.

Buttò il giaccone su una sedia e si stese sul divano. Osservò il suo appartamento. Allungò una mano, smorzò le luci e accese la pompa di calore. Chiuse gli occhi e stette per qualche attimo abbandonato, mentre la stanza rapidamente si riscaldava. Sentiva le tempie pulsargli. Poi tolse il maglione e si alzò. Andò alla finestra. Quell’angolo di città era buono abbastanza. I palazzi tutt’attorno. Gli appartamenti spenti, come se non ci abitasse nessuno. Tutto in silenzio. Solo la sala giochi che c’era nell’angolo dell’incrocio, sotto, ventisei piani sotto, era illuminata. Illuminata da un’intensissima luce rubino. Sembrava in fiamme. 

Chiuse la tenda, andò verso il frigo e prese una lattina. Poi smorzò ancora le luci e anche la pompa di calore e andò al suo desk. Cercò con le mani il cavetto del collegamento neurale dietro il pannello del computer. Accese il computer e mentre il sistema si avviava si connesse, trovando rapidamente dietro al collo la placca del collegamento. 

Il percorso rosa apparì rapidamente, nell’angolo in fondo ai suoi occhi. La chiamavano “la quarta dimensione” anche se sarebbe stato più corretto chiamarla “la quinta” dimensione, se per quarta si intende il tempo. Ma vabbè. Selezionò col puntatore l’icona “E-L” poi smorzò anche lo schermo del computer mentre Eliana si avviava. Su una finestra dello schermo e nel bordo inferiore del percorso rosa apparivano i messaggi di boot, i ritorni delle librerie, l’inizializzazione degli x-server, i check della connessione neurale. Lui si rilassò intensamente. Poi, sul fondo del percorso rosa, Eliana apparì.

Si avvicinò lentamente. Lui la studiò un attimo, e anche lei lo studiò. Spense lo schermo e sbrogliò il cavetto per potersi muovere nella stanza. Aveva imparato a distinguere normalmente tutto lo spazio che c’era attorno a lui anche assieme al percorso rosa; i principianti trovavano difficile invece distogliere lo sguardo dal percorso. Non era difficile. Era come se ci fosse un’altra dimensione in mezzo alla stanza, una dimensione nel bordo inferiore degli occhi, che però era lì.

Si buttò sul divano, girandosi per mettere meglio a fuoco Eliana. Lei nel frattempo si era avvicinata. “Ciao” gli disse lei.

Aveva una bella cera. Aveva messo una maglietta a strisce bianche azzurre gialle e rosse, sportiva, i jeans. Stava scalza. A guardarla bene sperò sembrava un po’ infastidita. Annoiata.

“Come va?” disse lui. Era una domanda per prendere tempo.

“Bene” disse lei. Lei riprese la sua espressione divertita, serena. Gli raccontò che aveva fatto durante la giornata. Era stata a curiosare per una serie di negozi carinissimi, che vendevano cose bellissime, e alla fine glielo confessò. Gli aveva fatto un regalo. L’aveva ordinato. Era una stampa di Mondrian. Era sicura che gli sarebbe piaciuta moltissimo. Poteva appenderla di fronte al divano. Disse che il suo sguardo dentro il quadro di Mondrian avrebbe potuto perdersi a piacimento. Dentro quel quadro ci avrebbe trovato solo cose belle. Lui la guardò intensamente e per un attimo gli sembrò impazzire.

Poi lui gli domandò se non aveva voglia di tornare a mettersi a lavorare. Si pentì subito di quella domanda. Non voleva che lei mettesse in relazione quella domanda al regalo, che gli paresse che lui pensasse ai soldi. Non pensava a quello. Si fidava ciecamente di lei. Eliana aveva la carta di credito e poteva gestirla come gli pareva. Era solo preoccupato per lei. Non voleva che si sentisse sola, che si annoiasse.

Ma lei non pensò male, e disse semplicemente che in quel periodo non gli andava. Si avvicinò a lui. Non gli andava niente in quel periodo. Non gli andava.

Si abbracciarono. Lui la baciò dietro al collo, le scostò i capelli e la baciò dietro al collo, sapendo che a lei piaceva. Poi avvicinò il viso al suo e la guardò. Con la mano le asciugò le lacrime delicatamente, appassionatamente, come si asciugano le lacrime a una figlia. Non piangere. Non doveva piangere. Importavano solo loro due e fino che c’erano loro due tutto sarebbe andato bene. 

Si riabbracciarono e stettero a lungo così, nel divano, corpo contro corpo, lui accarezzava continuamente la pelle di lei, e stringeva il suo corpo esile, teso, che pareva spezzarsi e che pure vibrava a ogni sua carezza. Mise la mano dentro la maglietta e accarezzò i suoi piccoli seni. Lei miagolò come ragazzina e si scostò un poco. Chiusero entrambi gli occhi e stettero solo ad ascoltare i loro respiri.

*

S’era alzato per prepararsi qualcosa da mangiare e nel frattempo lei aveva acceso il videoterminale. Lui tornò sul divano con una ciotola di riso fritto con le uova e una lattina. Si misero a guardare qualche feed scemo, divertendosi. Lei girava continuamente e faceva la smorfiosa. Guardava le ballerine e si confrontava con loro. “Io sono meglio di questa”, diceva, “sono meglio di quest’altra”, “io ho gli occhi più belli”, “io ho le gambe più belle” diceva. “See” gli faceva lui, e lei si ci buttava contro e gli dava un colpo in testa. Poi girando capitarono su un feed che faceva un film d’amore un po’ stronzo, di quelli fatti con lo stampino, ma lei lo voleva vedere e lo guardarono insieme. Alla fine la protagonista moriva e lei si mise a piangere. Lui si mise a ridere, “che cazzata” diceva, “che film fatto male”, ma alla fine veniva da piangere anche a lui e si strinse a lei. 

Rimasero alla fine col viso sprofondato di fronte alla luce del videoterminale, come due cretini, mentre i programmi finivano e mettevano su le videovendite stronze, o solo la neve dei feed quittati. 

Ebbe lui alla fine il coraggio alzarsi, e di prepararsi per andare a dormire. Lei era mezza assonnachiata. La prese sotto le ascelle per farla alzare e di colpo lei lo guardò negli occhi, come se per un istante, presa nel dormiveglia, avesse avuto paura. Poi si raddrizzò e fece la scema. Incominciò a canticchiare una canzonetta cretina, stonando apposta come una bambina. 

“Basta mi rintroni!” disse lui. “Andiamo a letto? Domani debbo alzarmi alla solita ora”

“Cazzi tuoi” disse lei, ormai decisa di andare in fondo col suo comportamento capriccioso e stronzo. “Io sto a dormire fino a mezzogiorno”

Incominciò a ballare, poi addirittura a pogare cantando i Sex Pistols. “God save the Queeeeeen, the fascist regimeeeee, that made you a morooonnn, a potential h bombbb… anarkiiii in the iuuuuu kiiiiii…. distroiii distroiii distroiii….” Ballava per tutta la stanza e lui pensò che poteva stare tutta la notte sveglio a guardarla. 

Decisero alla fine di andare a letto, e prima di andare lei disse solo che era troppo contenta perché sicuramente domani la stampa di Mondrian sarebbe arrivata, e che dovevano appenderla dove aveva detto lei. 

*

“Ciao” disse lui
“Ciao” rispose Eliana.

Il percorso rosa brillava sotto i suoi occhi e li faceva lacrimare come al solito, come ogni volta all’inizio quando lo attaccava. 

Era venerdì. Era pomeriggio. Si era ritirato prima.

Lui gli raccontò la sua giornata e lei gli raccontò la sua giornata. Stettero per un poco a chiacchierare poi lei gli disse che aveva preso un film e che potevano vederlo.

“Stasera non posso” disse lui. Le disse che aveva conosciuto una ragazza a lavoro e che tra un po’ doveva prepararsi per uscire.

“Che cazzo dici?” disse lei. Era gelida in viso, e feroce. 

Rimasero per un attimo così. Lui che la guardava divertito e lei attonita, sbalordita, quasi scolorata in viso.

Lui si alzò e si diresse verso di lei. La prese e la gettò contro il divano, poi tenendola per il collo che quasi glielo spezzava le levò la maglietta rossa azzurra e gialla. Lei lo guardava quasi con odio e lui la guardava quasi con odio e poi lui le si gettò addosso e cominciarono a fare l’amore, con le mani che si cercavano dappertutto, come due adolescenti, come due persone troppo ardenti per vivere, troppo brillanti per morire, per fare qualsiasi cosa. Aveva senso solo scoppiare in quell’istante, in quel divano, come una mina, come una bomba. 

Si svegliarono nella penombra del venerdì pomeriggio. Lui la guardò negli occhi e vide che lei era serena, felice. Non volevano muovere un muscolo. Alla fine lui si alzò perché aveva voglia di un tè, e gli disse di attaccare quel film.

“Mi immagino già… una delle tue cazzate”, fece lui, col suo tono cinico. 

Ma lei divertita lo metteva già, ridendo.

Suonò il campanello.

“LA STAMPA DI MONDRIAN! LA STAMPA DI MONDRIAN! È ARRIVATA” saltò lei in brodo di giuggiole, gridando come una bambina davanti ai regali di natale.

Lui lasciò l’acqua del tè che bolliva, per andare ad aprire. L’acqua si gettò fuori spegnendo la fiamma e lasciando uscire il gas.

Lui aprì la porta senza nemmeno domandare chi fosse.

Due uomini entrarono a forza e si posizionarono nella stanza mentre altri due lo presero e lo bloccarono senza che lui si rendesse neanche conto di quello che succedeva.

Gli uomini posizionati gli puntarono le pistole contro e gridarono:

“PORNOGIUSTIZIA!”

Eliana era sgattaiolata in un angolo della stanza come un micino spaventato. Gli uomini guardarono rapidamente per tutta la stanza, poi abbassarono le pistole, mentre quelli che lo tenevano fermo già lo ammanettavano.

“State attenti al cavetto neurale. Ho il cavetto” disse solo lui, nel terrore che lo pestassero con un piede e lo sconnettessero bruscamente. Poteva fondersi il cervello.

Uno degli uomini lo guardò disgustato. Si avvicinò a lui. Prese un foglietto dalla tasca.

“Signor Marcus Leeds?” chiese

“” disse lui

“Signor Leeds lei è in arresto per aver commesso i pornoreati di generazione e fruizione neurale non autorizzata, di relazione neurale ineffettiva, di relazione amorfizzante, di pornoviolazione del patto sociale, di attentato alla vis costituzionale collettiva, di fruizione pornografica non autorizzata, di pornodipendenza a stupefagente, di automesmeria lesiva neurale, di reiterata devianza potenzialmente pericolosa

Non disse niente.

Uno degli agenti era già al computer per chiudere la sessione e poterlo disconnettere dal cavo neurale.

Con la coda dell’occhio lui diede uno sguardo ad Eliana rannicchiata nel suo angolo. Tremava.

“Sarà ora tradotto nella casa circondariale del 9° settore, a disposizione delle autorità di pubblica sicurezza e del Ministero della Pornogiustizia, Signor Leeds” poi, vedendo che lui non lo ascoltava disse “Ha capito, Signor Leeds

Lui disse di sì con la testa.  Guardava ancora Eliana che tremava. Scalza, con solo la sua maglietta preferita addosso, rossa azzurra, bianca e gialla.

Poi l’agente chiuse la sessione e il percorso rosa sparì dai suoi occhi rapidamente. Dentro gli ultimi attimi vide ancora Eliana. Aveva lo sguardo di quella sera quando s’era messa a piangere dicendo che “non gli andava di fare niente, non gli andava, non gli andava

Abbassò lo sguardo e si abbandonò agli agenti che lo scortavano già fuori dal suo appartamento. Gli altri restavano per smantellare i computer e tutto.

*

La stampa di Mondrian arrivò il giorno dopo. Il fattorino non trovò nessuno e la lasciò dietro la porta. Rimase là per diversi giorni. Poi alcuni ragazzini del palazzo la presero per giocarci. Finì sul pianerottolo, come un indumento caduto dalla cesta del bucato. 

Redazione Step1

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