«Buongiorno, dottore. Si ricorda di me? Sono Aziz. Lei qualche anno fa ha salvato mio nipote, quello che ho portato dal Marocco. Gli ha tolto il sangue dalla testa e ora per fortuna sta bene, ma adesso anche la mia nipotina ha problemi e io non mi fido di nessun altro». Storie di vita quotidiana per Vincenzo Albanese, docente dell’università di Catania e direttore della clinica neurochirurgica del Policlinico etneo. Storie di sofferenze che si scontrano con la cattiva organizzazione degli ospedali cittadini – e di tutta l’isola dove le liste di attesa per un’operazione possono arrivare anche a dieci mesi. Capita ad esempio proprio alla clinica diretta da Albanese, dove al momento circa 200 pazienti attendono il loro turno. Ma il docente non si rassegna e per questo ha appena presentato due esposti alle procure di Catania e Palermo, più diverse lettere al direttore dell’ospedale e al rettore di Unict, responsabili del funzionamento dell’azienda medica universitaria. Un problema non isolato, ci tiene a chiarire il docente, «ma il risultato di una politica che pensa solo alle clientele».
La prima lettera Albanese la invia il 15 gennaio ai dirigenti del Policlinico. L’indomani, il messaggio arriva anche al rettore dell’ateneo catanese Giacomo Pignataro e alle procure di Catania e Palermo. Nel documento il medico racconta di come le scarse risorse a disposizione della clinica su tutte, una sala operatoria disponibile solo tre volte alla settimana – non siano sufficienti ad affrontare la quantità e le urgenze dei pazienti. Specie se si considera che il presidio «ha alcune tecnologie per la chirurgia dei tumori celebrali che hanno in pochi in Italia». Nessuno può aspettare i dieci mesi raggiunti dalla lista d’attesa per sottoporsi a un’operazione senza rischiare di peggiorare. Tra lamentele e minacce allo staff della clinica, qualcuno decide di affrontare le spese di un viaggio fuori dall’isola. I primi giorni di febbraio sono undici i pazienti ricoverati e in attesa di operazione: il più giovane ha solo tre anni e soffre di un tumore al cervello. Le lettere, intanto, rimangono senza risposta. Eccetto una missiva del rettore Pignataro al direttore generale del Policlinico affinché affronti la questione.
Ma Vincenzo Albanese non vuole farne un caso personale. Le problematiche della clinica che dirige sono frutto di «un problema generale del sistema sanitario siciliano spiega Degli sperperi e delle mancate iniziative di correzione che andrebbero a intaccare il sistema del voto di scambio. Io non ho mai visto, ad esempio, un sindaco sfilare in corteo per chiedere un ospedale più efficiente, ma solo quando rischia di venire chiuso». La soluzione, secondo il docente, sarebbe proprio la razionalizzazione delle strutture isolane. Come il piccolo ospedale di Militello in Val di Catania «che dovrebbe afferire a Caltagirone e invece ha un proprio reparto di rianimazione con una decina di anestesisti. Ma siamo sicuri che i malati ne avevano bisogno e che non bastasse invece un normale reparto?», dice Albanese. Al contrario dell’ospedale di Paternò, che il reparto di rianimazione invece non lo ha. Così come «i vicini Biancavilla e Bronte, tutti incompleti». O ancora le strutture ospedaliere di Giarre e Acireale «a una decina di chilometri di distanza l’una dall’altra e che non ci si è mai decisi a smantellare del tutto».
Una situazione che non migliora in città, continua il docente. «Basterebbero un ospedale a est, il Cannizzaro; uno a ovest, il Garibaldi nuovo; e uno al centro, il Policlinico – ragiona – A che servono il Garibaldi vecchio, il Vittorio Emanuele e peggio ancora il nuovo San Marco?». «Almeno creassero un presidio specializzato come non ne esistono. Ad esempio un ospedale materno infantile, dove trasferire tutte le pediatrie, le ostetricie e le ginecologie dell’area e creare una rianimazione pediatrica che in Sicilia esiste solo a Palermo», continua il dottore. Cosciente però che un taglio netto non basta. «Io dico di chiudere, ma quello che rimane deve funzionare», sottolinea.
Tra gli esempi specialistici degli sprechi, secondo Albanese, c’è proprio la neurochirurgia. Con circa 15 centri in tutta la Sicilia e sei solo a Catania per una popolazione ospedaliera di due milioni di persone. «Nei Paesi anglosassoni c’è un solo centro ogni milione e mezzo o due di abitanti», spiega il docente. Tra questi, anche la struttura del Policlinico. Dove però si opera solo tre volte alla settimana perché mancano infermieri e anestesisti e, su 14 sale operatorie dell’intero ospedale, solo un terzo lavorano tutto il giorno, assegnate ai diversi reparti. «Le altre invece sono attive solo la mattina, perché il pomeriggio c’è chi deve andare in studio», sorride amaro Albanese. Che, per cominciare a risolvere il problema della clinica di neurochirurgia che dirige, propone di assegnare le sale del Policlinico non alle singole strutture – «con il loro complesso di amicizie politiche e poteri» -, ma in base al numero e alla complessità delle patologie, «con una vera programmazione che non guardi in faccia nessuno».
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