Polemiche per sei testimoni di giustizia siciliani La legge italiana li assume, la Regione li blocca

Sono sei i testimoni di giustizia che a metà mese hanno preso servizio nella sede romana della Regione Sicilia. La loro assunzione è stata possibile grazie alla legge che regolamenta proprio il lavoro di queste figure nella pubblica amministrazione. Ma non sono mancati gli intoppi e le polemiche, come spiega Maria Cristina Stimolo, dirigente generale del dipartimento Affari extra regionali. «Per poter mettere queste persone in servizio servono i decreti di assunzione, ma non sono ancora arrivati. Ad oggi non ci è pervenuta alcuna documentazione da parte della Funzione pubblica della Regione Sicilia e io non ero stata messa al corrente. È evidente che c’è stato un difetto di comunicazione fra dipartimenti, ma per fortuna ho potuto conoscere il presidente dell’associazione testimoni di giustizia Ignazio Cutrò».

«Dei 13 testimoni che erano stati convocati a Roma per le firme di assunzione, si sono presentati solo in sei – racconta Cutrò – Abbiamo parlato con la dottoressa Stimolo e tutti ci hanno accolti con le braccia aperte. Questa è stata una grande vittoria per noi». Ancora oggi però, 25 testimoni aspettano di poter firmare. «Dovevano avvenire lo scorso 23 maggio, ma aspettiamo le mail che diano il via definitivo. La legge – continua – è stata fatta per riportare alla vita quei testimoni che hanno fatto condannare i loro estorsori». La speranza di molti testimoni di giustizia neo assunti – ma anche di coloro che aspettano di esserlo – è quella di poter tornare a lavorare in Sicilia. Ma al momento, per ragioni di sicurezza, il ministero dell’Interno non lo consente. «È importante far tornare queste persone in Sicilia – commenta Cutrò – Io ad esempio sono potuto rimanere grazie a quella parte di Stato che mi ha protetto, e non ho ancora perso la mia dignità».

Dei 38 testimoni che dovevano essere assunti, 30 si trovano in località protette e non potranno tornare sull’isola per la loro incolumità. Solo otto possono effettuare il programma di protezione nella propria località di origine. «Questo è un sistema che va cambiato – continua il presidente Cutrò – Siamo pronti a protestare davanti alla Regione e al ministero della Giustizia». Per questo motivo si rivolge al ministro dell’Interno Angelino Alfano, al quale chiede «un protocollo di intesa con le altre regioni per poter fare lavorare i testimoni nella propria. È importante che il ministro capisca che i testimoni di giustizia che vogliono tornare nella propria terra vanno lasciati liberi di decidere dove vivere e lavorare, e di tornare a casa qualora lo vogliano».

A queste sei assunzioni dovrebbero seguirne altre. «L’importante per noi è lavorare e ricominciare a vivere – spiega Valeria Grasso, testimone di giustizia palermitana – La verità è che oggi sei persone che qualcuno vorrebbe morte hanno saputo dare una grande svolta alle loro vite che credevano finite. È una grande vittoria per noi, non vedo l’ora di poter festeggiare assieme ai miei figli». Solo alcune delle storie degli 80 testimoni di giustizia oggi in Italia. Per lo più vittime di estorsioni, per colpa delle quali hanno perso anche il lavoro.

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