Pj Harvey – White Chalk

“Non appena sono stata lasciata sola, il diavolo ha cominciato a passeggiare nella mia anima”.

Con queste parole si apre questo disco. Parole stanche, confuse, ubriache e incapaci a nasconderlo, accompagnate da una marcetta sbilenca suonata da pochi strumenti. La canzone si trascina stanca, avviluppandosi su sé stessa, perdendo pezzi, spegnendosi prematuramente, finendo per denunciare la sua stessa ineluttabile essenzialità. Rimane, in sottofondo, il respiro affannato, rotto, di chi ha ascoltato e si è visto dipanarsi di fronte un dramma di due minuti. Un’attrice che non sa recitare, una cantante che non ha più voglia di cantare. In fondo al cuore, nudo e grondante sangue, vero attore senza volto: il dramma di un amore finito. Parole a chi non è più là per accompagnarla in questa vita difficile. E, ancora, lettere alla nonna sepolta (“Se giacessi al suolo, riusciresti a sentirmi?”). L’ultimo addìo di un suicida (“Addìo, miei cari… Se sono stato rude, perdonate la mia debolezza”). Schizzi di rimpianto da uno sguardo rivolto al passato, alla famiglia ormai lontana (“Mamma è al portone, mentre prova a fuggire… Oh Dio, mi mancate”). Non fa molta differenza, alla fine: il tutto suona unitario nel suo essere silenziosamente doloroso, soffocato nell’angoscia. Segue “Dear Darkness” e la tentazione di non dirne niente è troppo forte. Lasciamola nell’ombra in cui si trova, dimentichiamola per trovarcela accanto come un fantasma che non ricorda più come farci paura. Cresce, cresce, cresce “Grow, grow, grow” e, per non cambiare, si spegne dopo appena un battito di ciglia, una lacrima soltanto immaginata e un brivido nero. Ancora pianoforte, strumento sul quale l’intero disco è costruito. Un pianoforte piccolo come l’opera che esegue (poco più di mezz’ora). Non c’è uno spiraglio di luce. Potremmo proseguire l’analisi dei pezzi, continuando a smontare e stuprare quest’opera. Ma sarebbe, appunto, uno stupro. E Pj Harvey non se lo merita, ha già sofferto abbastanza per regalarci questo diamante nero, per stillare questo assenzio dolce e velenoso. Credo meriti che questo dono venga accolto nel modo più giusto e rispettoso. Non si può fare altro, mi pare, se non lasciare che questo disco parli da solo. Poche parole, confuse, accartocciate, strozzate dalle lacrime mai piante. Ascoltatelo.

 

“Ho provato ad imparare la tua lingua, ma mi sono addormentata… mezza nuda… irriconoscibile a me stessa”.

Mauro Iemolo

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