Pizzini scambiati durante gli incontri per decidere le estorsioni nella compravendita di fondi agricoli e nell’esecuzione di lavori pubblici. È emerso anche questo durante l’operazione della polizia denominata Ermes fase 3 che oggi ha portato all’arresto di Giuseppe Calcagno (46 anni) e del pregiudicato Marco Manzo (55 anni), entrambi di Campobello di
Mazara
e indagati per associazione di tipo mafioso ed estorsione.
Tra i quindici indagati a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi, favoreggiamento della latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro, c’è anche il superlatitante accusato di tentata estorsione. Durante l’operazione sono stati impiegati 90 poliziotti e sono state eseguite perquisizioni nei territori di Marsala, Mazara del Vallo e
Castelvetrano. Anche l’abitazione di Castelvetrano, dove risulta la residenza anagrafica del latitante, è stata
sottoposta a perquisizione.
dei mandamenti mafiosi di Mazara del Vallo e di Castelvetrano, si sarebbero adoperati per
garantirne gli interessi economici, il controllo del territorio e delle attività produttive da parte dell’associazione e per aver favorito, in passato, la comunicazione riservata con Messina Denaro.
Le attività investigative hanno fatto luce sugli interessi economici e sui rapporti fra i sodali
del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, retto da
Vito Gondola – morto il 13 luglio del 2017 – e sui rapporti che il capomafia mazarese avrebbe intrattenuto con altri
appartenenti alla
famiglia mafiosa di Marsala, di Campobello di Mazara e di Castelvetrano.
L’indagine ha dimostrato anche l’intestazione fittizia di beni riconducibili a mafiosi e
l’intervento dell’organizzazione per risolvere partite di debito-credito fra soggetti vicini alle famiglie.
Le decisioni in merito ad alcune estorsioni sarebbero state prese su
indicazione diretta del
latitante.
Il ruolo svolto da Giuseppe Calcagno avrebbe consentito al reggente del mandamento mafioso
di Mazara del Vallo Gondola l’esercizio delle sue
funzioni apicali, eseguendone
puntualmente gli ordini. Calcagno avrebbe costituito un punto di riferimento nel segreto
circuito di
comunicazioni finalizzate alla veicolazione dei pizzini di Messina Denaro.
Il 46enne sarebbe intervenuto anche nella risoluzione dei conflitti interni alla consorteria mafiosa; avrebbe partecipato a incontri e riunioni riservate con altri membri
dell’organizzazione mafiosa, anche finalizzati allo scambio di informazioni, e avrebbe mantenuto
contatti con altri
esponenti di vertice dell’associazione.
Anche la condotta criminale di Manzo sarebbe stata finalizzata a favorire l’esercizio della
posizione di comando di Gondola. Pure lui avrebbe partecipato a
riunioni con altri
membri
dell’organizzazione e favorito lo scambio di informazioni, anche operative, con
membri e vertici delle famiglie mafiose della provincia di Trapani e di altre province. Manzo, oltre a intervenire nella
risoluzione dei conflitti interni alla consorteria mafiosa, si sarebbe imposto nel territorio come imprenditore del settore di carburanti in posizione dominante
in forza dalla sua appartenenza a Cosa nostra.
Marco Manzo è indagato, in concorso, anche per avere costretto con l’intimidazione
mafiosa un dipendente di una società per la vendita di carburanti di Campobello di Mazara a
rassegnare le proprie dimissioni, rinunciando al pagamento degli stipendi arretrati e alle
altre spettanze economiche derivanti dal suo
rapporto di lavoro. Il 55enne era stato condannato per avere favorito la latitanza del boss mafioso Vincenzo Sinacori e anche per danneggiamento aggravato ai danni
dell’abitazione di un
uomo politico di Castelvetrano.
La attività investigative hanno dimostrato che l’assoggettamento del territorio e il controllo
delle attività economico-imprenditoriali sarebbe passato anche attraverso
minacce e azioni violente, per la
realizzazione delle quali era fondamentale un
costante scambio di informazioni fra i vertici
delle varie famiglie della provincia
.
Sono state documentate le pressioni estorsive esercitate su un agricoltore marsalese, al fine di
costringerlo a cedere a un membro dell’associazione un appezzamento di terreno, che invece
avrebbe voluto acquistare per sé.
Le indagini hanno fatto luce anche sui
contrasti fra uno degli indagati mafiosi e alcuni
imprenditori agricoli e allevatori
e su gli incontri tra mafiosi finalizzati a ricercare una
soluzione.
L’intervento di Cosa nostra sarebbe stato essenziale anche per risolvere dissidi per l’utilizzo di alcuni
fondi agricoli
e per il pascolo nelle campagne di Castelvetrano.
Attraverso le attività tecniche di intercettazione è stato disvelato il tentativo di estorsione nei
confronti degli eredi del defunto boss mafioso campobellese Alfonso Passanante,
affinché cedessero la proprietà di un vasto appezzamento di
terreno in contrada Zangara di
Castelvetrano, appartenuto al boss Totò Riina. Le minacce dalla cosca mafiosa di
Campobello, rappresentata dal boss mafioso Vincenzo La Cascia, furono avallate anche da
una
lettera intimidatoria attribuita al latitante Matteo Messina Denaro, risalente al 2013.
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