Più liberi di dimenticare

Ma ti ricordi quando…Sono parole che spesso riecheggiano nelle nostalgiche rievocazioni di un passato ormai troppo lontano.

La questione della memoria da sempre tocca lo spirito dell’uomo, ad ogni livello , dagli albori della riflessione filosofica fino ai tempi attuali, in cui la perdurante velocità obbliga a barattare spazio nel nostro archivio mentale per fare posto a informazioni formato fast-food.

Ogni senso profondo un tempo associato con la memoria è stato sacrificato a favore di necessità più urgenti ma prive di spessore destinate ad estinguersi in fretta, come la durata di uno sguardo distratto, accennato senza intenzione.

Piogge di immagini, suoni, gusti ci bagnano e la spugna celebrale riduce la sua capacità (o volontà) di assorbirli. Non resta che delegare il suo compito originario ad aggeggi che, per ricordare di fissare la visita dal dentista, andare a ritirare i vestiti in tintoria o i bambini a scuola oppure prendere delle pillole (magari per la memoria), non fanno che emettere diabolici jingle musicali.

La scienza medica dichiara di fare passi avanti contro i morbi senili che corrodono i ricordi di una vita e rendono gli occhi degli anziani assenti o alla ricerca di uno sguardo conosciuto e, nel peggiore dei casi, della propria identità.

Ma accanto a medicinali che promettono di arginare i danni dello scorrere del tempo si stanno affiancando altri farmaci con la proprietà opposta di cancellare gli eventi accaduti nel passato recente rispetto al momento della loro assunzione.

La loro efficacia è stata testata attraverso uno degli ennesimi esperimenti su cavie animali: un topo privo di una proteina è stato sottoposto a stimoli che lo avrebbero dovuto indurre a reagire secondo le tradizionali aspettative; tuttavia l’attesa prevista veniva delusa e il povero animaletto continuava a subire il trauma con recidività.

Secondo le teorie più avanzate il comportamento del roditore sarebbe attribuibile all’assenza della proteina, non di certo ad una sua eventuale testardaggine.

Così le medicine in questione, traendo spunto e suffragate dall’esito positivo dell’esperimento (più per i ricercatori che per il sorcio), sarebbero somministrabili a tutti coloro che hanno vissuto un trauma come può essere uno stupro o una violenza subita o anche solo vista compiere.

Se è vero che da ogni spiacevole evento può essere tratta una morale non può essere messo in dubbio che simile tragedie, incommensurabilmente più che sgradevoli incidenti, non dovrebbero  essere nemmeno pensate dalla mente umana.

Se però la disgrazia arriva e chi ne ha provato le conseguenze sulla propria pelle sceglie deliberatamente di rimuoverle, ebbene il tale in questione sottrae parte del sé passato al sé presente e futuro, dimostra di odiare il proprio essere individuo, anche se maledetto prodotto dell’altrui diabolicità.

Essendo tuttavia una scelta personale, sarebbe comunque giusto lasciare il diritto di poter usufruire della terapia. Ma dobbiamo davvero credere che queste pilloline magiche funzionino alla perfezione?

Il meccanismo della mente è più profondo di qualsiasi abisso non ancora esplorato, complicato oltre ogni aspettativa e al momento (ma mi riesce difficile pensarlo anche per un futuro di progresso) non possiamo giurare di essere sicuri di poter controllare cosa la memoria deve o non deve salvare.

Se, senza nessuna previsione, di un infausto dramma, che crediamo accuratamente rimosso, rimane in noi un fantasma, una presenza avvertibile ma non del tutto esplicabile, una scatola inviolabile che sappiamo contenere un’entità ignota, il peso che porteremmo con noi sarebbe infinitamente più insopportabile.

Con tutto lo sforzo che riusciremmo a produrre saremmo portati a combattere una guerra contro un nemico che non conosciamo, quindi persa in partenza.

Si potrebbe obiettare che tanti fra coloro che hanno visto o vissuto qualcosa di talmente brutto da essere straziante anche il solo raccontarlo, trasmetterlo, non sono riusciti a portare il fardello della pena e hanno preferito scegliere una morte autoinflitta.

E, d’altra parte, chi scrive questo articolo, da sempre angosciata dalla paura di perdere il proprio passato, fatto talvolta di eventi non del tutto piacevoli ma forse non così terribili da essere insopportabili, potrebbe essere accusata di disattenta superficialità.

Ma (e, scusate la presunzione, credo ci sia sempre un “ma”, una via d’uscita), insieme a coloro che non sono riusciti a “maturare” la violazione della propria persona (e a cui tuttavia non può essere attribuita alcuna colpa), ce ne sono altrettanti che hanno vinto la loro lotta e continuano ad aggrapparsi a quei ricordi maledetti, elaborati i modo tale da ricostruirsi malgrado tutto, e in maniera splendida.

Nel dolore hanno continuato a proteggere la propria autocoscienza, ovvero la consapevolezza di una memoria tanto misteriosa quanto caratterizzante la loro umanità.

chiarazappala

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